![]() Quanto sono antichi i racconti popolari giunti fino a noi attraverso la trasmissione orale e poi la scrittura? Da quanto tempo gli esseri umani "raccontano"? E' un tema che ha sempre appassionato i cercatori di storie. Indagini che hanno portato indietro nel tempo fino a 30.000/70.000 anni fa almeno, fino al tempo della rivoluzione cognitiva, secondo quanto ricostruisce l'eclettico studioso Y. N. Harari nel suo saggio "Sapiens. Da Animali a dèi" (edizione italiana Bompiani, 2017). La capacità dei Sapiens di sviluppare un linguaggio particolarmente duttile e poi di comunicare non solo sulla realtà, ma anche su cose che non esistono affatto, segna il punto di svolta di una rivoluzione che porterà la nostra specie a dominare sugli altri animali. La rivoluzione cognitiva si attua quando i nostri progenitori iniziano non solo a scambiarsi informazioni utili ("C'è un leone nell'ansa del fiume"), ma anche a formulare comunicazioni come "Il leone è lo spirito guardiano della nostra tribù", a cui i membri della tribù credono. ![]() Un altro passo in avanti, è il piacere di parlare per parlare, la chiacchiera, anzi ancora meglio il gossip, il pettegolezzo. Secondo gli studiosi, questa brutta abitudine di parlare dei fatti degli altri è alla base dello sviluppo del linguaggio come legame sociale. E dal momento che i Sapiens sono animali sociali per eccellenza, avendo capito che solo formando comunità sempre più estese e coese sarebbero riusciti a superare le oggettive condizioni di inferiorità rispetto ad altre specie, ecco che sviluppano la creazione e la propagazione di miti, storie su fatti che non esistono nella realtà, ma che tengono insieme tutti coloro che ci credono. Dai tempi dell'uomo-leone della grotta di Stadel in Germania (32.000 anni fa), ma molto probabilmente ancora prima, gli umani sono capaci di creare una realtà fantastica attraverso il linguaggio. Sono talmente tenaci queste credenze basate sui racconti fantastici che hanno attraversato migliaia di anni, diffondendosi solo attraverso la voce. I grandi miti, le epopee e le saghe, ma anche i più umili aneddoti, storielle salaci, fiabe popolari, si sono propagati insieme al diffondersi dell'Homo Sapiens in tutti i continenti e sono arrivati fino a noi solo in tempi recentissimi attraverso la scrittura e poi su altri nuovi mezzi di comunicazione. Se dovessimo srotolare un gomitolo del tempo di 30.000 anni, e suddividerlo in 30 parti che rappresentano ognuna 1000 anni, vedremmo che solo nelle ultime sezioni compare la scrittura: i racconti più antichi, come il ciclo di Gilgamesh, sono stati fissati su tavolette d'argilla circa 3000 anni fa. Ma la loro propagazione orale è certamente più antica. E se parliamo di fiabe, dobbiamo attendere l'interesse delle corti del Seicento o dei glottologi ottocenteschi per vedere pubblicate le prime raccolte. Per quanto oggi l'oralità possa apparire effimera e volatile nella trasmissione di informazioni (abbiamo infatti sempre bisogno di annotare o registrare su un supporto cartaceo o digitale), in realtà essa è il mezzo più certo e duraturo per trasmettere informazioni importanti nel tempo, se parliamo su una scala temporale di migliaia di anni. E' quanto dimostra Umberto Eco nel suo saggio "La Memoria Vegetale" (Bompiani 2011). Per questo gli/le storytellers erano sacri/e al pari degli/delle sciamani/e. E per questo narratori e narratrici di oggi dovrebbero essere sempre consapevoli, quando raccontano, qualsiasi cosa raccontino, di essere un punto nel filo ininterrotto fatto di voci e parole, sussurrate e gridate, di uomini e donne che, migliaia di anni prima di noi su questa terra. hanno voluto condividere con noi sogni, paure, desideri in forma di racconto. Il gomitolo del tempo accanto ad un'opera di Maria Lai, La porta delle Janas (1995)
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AuthorColtivo l'arte della narrazione orale o 'storytelling' come disciplina artistica e mezzo per comunicare con mondi diversi. Archives
March 2022
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