Fede popolare e bellezza nel ritmo culturale che accompagna il ciclo naturale delle stagioniOgni anno mia madre, appena dopo l'inizio della Quaresima, mette grano e lenticchie nei piatti antichi, li irrora d'acqua e li sistema sotto le corbule (cesti intrecciati a mano in steli di asfodelo). I grani tenuti all'ombra e costantemente inumiditi germogliano, ma in un modo particolare: il loro stelo si spinge verso l'alto in cerca della luce, mantenendo piccole foglie pallide a causa del buio, che impedisce la sintesi della clorofilla. Tutta la famiglia segue la crescita, le nipoti vanno a controllare sollevando un poco la corbula e si meravigliano, le figlie chiedono come va la crescita, se per Pasqua saranno pronti. Perché poi, questo rito, è tutto femminile. All'inizio della settimana santa, i germogli sono alti circa venti centimetri, vengono adornati con nastri e fiori e portati al "sepolcro", la cappella allestita per i giorni della Passione di Gesù. In Sardegna il piatto di germogli così adornato lo chiamiamo "su nènniri" o "su lavoreddu". Si possono rintracciare uguali tradizioni in area mediterranea e balcanica, forse legate insieme dalla chiesa bizantina. Ma è certo che il rituale affonda radici in età precristiana, fino alla Grecia antica e ancora più indietro, alle prime civiltà agricole. Il controllo dei semi e della crescita, in questo caso costretta all'assenza di luce, tutto sotto la regia di mani femminili, ci porta verso gli albori dell'agricoltura. Tratti pagani sopravvivono anche nei rituali cristiani praticati in Sardegna fino a poco tempo fa: si racconta che su nènniri si portava in campagna e si spezzava sul terreno, come auspicio per il buon raccolto. Riguardo questa tradizione, si rammentano i "giardini di Adone", in onore al dio morto giovane. Ma vale anche ciò che rappresenta per noi, nel nostro presente, questo rito e il suo ritmo. Tra il "memento mori" del mercoledì delle ceneri e la rinascita della Pasqua, c'è il ripetersi lento e preciso di gesti, c'è l'attesa paziente, la cura e il controllo per la buona riuscita, c'è infine, con l'arrivo della prima luna piena di primavera, l'abbellimento dei fiori per il sepolcro del Dio che ogni anno muore e rinasce. C'è dentro tutto il ritmo di una cultura. Il poeta Pierluigi Cappello racconta in Questa libertà il suo incontro con Silvio, il costruttore di gerle: "Io, piccolo com'ero, non mi chiedevo affatto da dove venisse quella sequenza di gesti naturalmente sorvegliati, mi accontentavo di seguirne la precisione e la reticenza ... Me lo son chiesto più tardi, da uomo fatto: qualcuno avrà insegnato a Silvio, magari quand'era bambino, perché ai suoi tempi si cominciava a lavorare presto, gli avrà insegnato a intrecciare, a preparare le festuche, a cercare i rami di salice giusti lungo il fiume e anche lui avrà dovuto ripetere, ostinato e devoto, cercando di impossessarsi di un ritmo, finché quel ritmo si sarà impossessato di lui, delle sue mani, delle sue dita. Così, quello che vedevo non era un vecchietto ... ma una cultura al lavoro, risalita dai tempi lungo una catena viva di uomini che l'avevano condotta fin lì, e quelle che agivano non erano mani, ma il ritmo stesso di quella cultura". (P. Cappello, Questa libertà, Bur Rizzoli, 2016)
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E' il momento dell'anno in cui il buio inizia a diminuire, la luce ritorna sulla terra. E si celebra chi ha portato la luce sotto forma di fuoco. Nella cultura classica domina il mito titanico di Prometeo, ma ve n'è un altro molto diffuso in area mediterranea. E i protagonisti sono un santo, un maialino, e il fusto di una pianta particolare ...Prometeo, dopo aver modellato gli uomini dalla terra e dall'acqua, diede loro anche il fuoco, all'insaputa di Zeus, nascondendolo in una ferula, racconta il mito greco. Il fusto della ferula communis ha un ruolo anche nella leggenda popolare dove si mescolano elementi pagani e cristiani. Un sincretismo religioso che si manifesta anche nel rito associato al santo, celebrato con grandi fuochi, inutilmente osteggiati e poi tollerati dalla Chiesa. ![]() Si avvicina il 17 gennaio, festa di Sant'Antonio Abate o del fuoco, raffigurato sempre con il suo bastone ed il fedele maialino. Protettore degli animali domestici, era caro anche ad Antonio Gramsci, che aveva preso il nome dal santo, essendo egli nato il 22 gennaio: "... al quale tengo moltissimo per tante ragioni di carattere magico" scrive in una lettera ai familiari. Vissuto tra il 251 e il 356 d.C. in Egitto, la sua biografia si conosce bene grazie alla testimonianza del suo discepolo Attanasio. Visse oltre cent'anni, in gran parte trascorsi da eremita e venerato già in vita come un santo. Ho narrato molte volte la leggenda popolare diffusa in Sardegna e ho introdotto alcune variazioni, suggerite dall'interazione con i piccoli ascoltatori. *** Avrete sicuramente sentito parlare del mito di Prometeo che donò il fuoco agli uomini, dopo averlo rubato agli dèi. In Sardegna raccontiamo un’altra storia. Qui è Sant’Antonio ad aver portato il fuoco sulla terra, con l’aiuto del suo maialino. Ascoltate come andarono le cose. C’è stato un tempo in cui gli uomini non conoscevano il fuoco. O meglio, lo conoscevano, ma non lo possedevano ancora. Riuscite ad immaginare come era dura la vita senza fuoco? (lascio che siano i bambini ad elencare: non ci si poteva riscaldare, non c'era luce per la notte, non si potevano forgiare i metalli, non si poteva cucinare, e così via). Così, gli uomini, infreddoliti e stanchi di quella misera vita, decisero di andare a chiedere aiuto a Sant’Antonio, che viveva da eremita in una grotta. Gli uomini vanno a cercarlo, lo chiamano e lui esce dalla sua grotta, accompagnato da un maialino. Perché dovete sapere che Sant’Antonio, prima di essere santo, era porcaro, allevava maiali, e quando aveva deciso di ritirarsi in preghiera, aveva preso con sé un maialino che lo seguiva dappertutto come un cucciolo. Allora, quando gli uomini lo videro arrivare, gli rivolsero queste parole: “Sant’Antonio, facci la carità, siamo uomini della terra, siamo stanchi, abbiamo freddo, fame, procuraci il fuoco”. Il santo provò compassione per quegli uomini e disse: “Sì, ve lo procuro il fuoco, so io dove trovarlo, dove brucia eterno!”. Dove pensate che vada S. Antonio? (nel vulcano! dicono in coro i bambini. E io non li contraddico, certo. Ma aggiungo che in fondo fondo a questo vulcano, c'è l'Inferno, e così posso continuare la storia, ché se no sarebbe finita qui!). E Sant’Antonio parte, seguito dal suo fedele maialino che scodinzola come un cane, felice dell’escursione. Prima di partire il santo prende con sé un lungo bastone di ferula. Ora la ferula è una pianta molto comune in Sardegna nei terreni a pascolo, e questa pianta ha un legno che all’interno è cavo e spugnoso, e questo come vedremo ha la sua importanza per questa storia. Sant’Antonio arriva al grande portale dell’Inferno e con il suo bastone bussò. TOC TOC, toc toc, toc toc, si sente l’eco dentro l’Inferno che si ripete nei gironi che scendono giù verso il centro della terra. I diavoli non aspettavano visite: “Chi è?” gridano. “Sono un uomo della terra - dice Sant’Antonio - fatemi entrare un poco a scaldarmi”. Ma i diavoli capiscono subito che quello è un santo e non può entrare nell’Inferno. Cercano di cacciarlo via, ma Sant’Antonio riprende a bussare, TOC TOC, toc toc toc toc … I diavoli allora iniziarono a preoccuparsi che tutto quel bussare non finisse per svegliare il grande capo, Lucifero, che dormiva negli abissi degli inferi. Allora uno di loro si decise ad aprire il portone, ma solo per dire a Sant’Antonio di andarsene. Ebbene, non fece neanche in tempo a dire una parola, che il maialino non appena vede schiudersi il portone, si infilò dentro e incominciò a correre, a gettare uno scompiglio che non si era mai vista tanta confusione nell’Inferno. I diavoli lo inseguirono, cercarono di acchiapparlo, ma niente, lui sgusciava via, e grugniva, grufolava, tutto eccitato per tutte quelle scintille, il fumo, e le fiamme. Era così felice e pieno di gioia! Un vero scandalo per l'Inferno. Insomma, alla fine i diavoli si videro costretti a tornare al portone dove avevano lasciato Sant’Antonio e lo fecero entrare con l’ordine di riprendere il suo maialino e riportare la calma nell’Inferno. Detto fatto: bastò toccare il maialino con il bastone di ferula e lui ritornò quieto ai piedi del santo. Ma ormai Sant’Antonio era entrato nell’Inferno e così pregò i diavoli di lasciarlo lì per un po’, giusto il tempo di scaldarsi un po’ i piedi. I diavoli acconsentirono, non avevano tempo di occuparsi di lui, gli dissero di mettersi in un angolo e di non far perdere loro altro tempo, dovendo rimettere tutto in ordine e recuperare il tempo perso. Sapete, i diavoli tengono sempre tutto in ordine e hanno tutto il loro tempo organizzato, non possono perdere un solo secondo. Insomma, mentre i diavoli erano distratti nel loro lavoro, Sant’Antonio sapete cosa fa? Prende il suo bastone di ferula e lo accosta alle braci ardenti. Una scintilla entra dentro il bastone cavo e il legno spugnoso incomincia a bruciare dentro, senza che si veda niente all’esterno. Quando Sant’Antonio capisce che il fuoco è entrato dentro il suo bastone, incomincia ad allontanarsi verso l’uscita, salutando e ringraziando i diavoli, che lo accompagnano subito al portone ben felici che se ne vada via con il suo maialino. Sant’Antonio riprende il cammino per salire sulla terra, dove arriva in una notte fredda e stellata. Gli uomini lo aspettavano e quando il santo li vide incominciò ad agitare nell’aria il bastone da cui sprizzavano le scintille. E disse: Fogu fogu / peri su logu / peri su mundu / fogu iucundu *** La festa di Sant'Antonio con i suoi fuochi segna l'inizio del Carnevale in tutta l'isola. *** * L'immagine della copertina si riferisce alla pubblicazione bilingue italiano/inglese realizzata da Archivi del Sud nel 2015 (grafica Marica Busia) Il folletto dispettoso, si intitola questa storia, ma il titolo in inglese è "Knee Breeches" ovvero 'pantaloni al ginocchio', che come scoprirete, finiranno alla fine a brandelli. Ma vi voglio anche dire, prima di iniziare la lettura, che il folletto nella versione inglese è il "brownie" e in danese è "nisser": una creatura che abita nelle fattorie, dove rende i suoi servizi, a meno che non decida di diventare dispettoso. Per tenerlo buono, i contadini avevano l'abitudine di mettere fuori, ogni sera prima di andare a dormire, una ciotola di porridge.C'erano una volta un ragazzo e una ragazza che lavoravano in una fattoria. Il ragazzo era un bel tipo e la ragazza era molto carina, entrambi erano bravi nel loro lavoro e divennero buoni amici. Nella fattoria viveva anche un brownie, un folletto, che era infatuato della ragazza. Ogni notte, portava acqua fresca e carburante in cucina prima di andare nella stalla, dove lavava e puliva sotto le mucche in modo che tutto fosse perfettamente pulito per quando la ragazza andava a mungerle, la mattina dopo. Il folletto, però, non era altrettanto ben disposto nei confronti del ragazzo. Quando arrivava la sera e il ragazzo si infilava in cucina per scambiare due parole con la ragazza, il folletto correva sul pavimento di pietra verso la cucina, imitando il passo del proprietario, in modo che il ragazzo si affrettasse a uscire dalla porta sul retro e tornare ai suoi alloggi. Quando la ragazza apriva la porta della cucina per vedere chi c'era fuori, non c'era mai nessuno e lei capiva che era opera del folletto. Anche se faceva tutto il possibile per compiacere la ragazza, trovando sempre piccoli lavori da fare che le rendessero la vita più facile, lei era arrabbiata con lui, perché si comportava in quel modo con il suo ragazzo. Quando giunse la vigilia della festa del paese, la ragazza preparò per il folletto una ciotola di porridge, come era consuetudine. Per quell’occasione si usava aggiungere una noce di burro che si scioglieva nel porridge, mentre si mescolava. La ragazza era ancora indispettita con il folletto, perciò incise la forma della croce nel porridge, pensando che si sarebbe arrabbiato con lei e avrebbe smesso di starle dietro. Ma il suo piano non funzionò. Il folletto non toccò il porridge, ma non diede fastidio alla ragazza; l'amava così tanto, poverina. Con l'avvicinarsi del giorno di San Michele, furono fatti i preparativi per la grande festa del raccolto, con musica e balli, che si sarebbe svolta nella ricca tenuta di un vicino. Il contadino, sua moglie, il ragazzo e la ragazza erano stati tutti invitati e negli ultimi giorni prima della festa, ogni momento libero del loro tempo era dedicato alla scelta del loro guardaroba per l'evento. In quel tempo, gli uomini indossavano pantaloni gialli al ginocchio per occasioni importanti e il ragazzo ne possedeva un paio del genere, con bottoni gialli lucidi. Qualche giorno prima della festa, il ragazzo lavò i pantaloni nell'abbeveratoio del cortile, li stirò per eliminare tutte le pieghe e li appese nella stalla ad asciugare. Ora succede che il folletto va nella stalla quello stesso giorno. Vede i pantaloni stesi nella stalla e si rende conto che appartenevano al ragazzo. La sua gelosia si impadronisce di lui e decide di fare uno scherzo al ragazzo, uno scherzo che gli avrebbe impedito di andare alla festa. Prende i pantaloni e li appende nella parte più alta della stalla, tutto contento perché sapeva che se il ragazzo non avesse avuto i calzoni da indossare, non sarebbe potuto andare alla festa e non avrebbe potuto ballare con la ragazza. Il giorno dopo, il ragazzo va nella stalla a ritirare i pantaloni e non riesce a trovarli. Cerca ovunque, ma niente. Ha continuato a cercare fino al giorno della festa, ma non si trovavano da nessuna parte. Il povero ragazzo alla fine si è trovato in una situazione difficile senza via d'uscita; non aveva altra scelta che dire che si sentiva male e che sarebbe rimasto a casa invece di andare alla festa. Il folletto era felicissimo, sghignazzava tutto contento, ma la sua gioia si trasformò presto in sgomento, quando anche la ragazza si scusò e disse che non sarebbe andata alla festa. Il ragazzo e la ragazza rimasero a casa da soli e si divertirono moltissimo. Sussurrarono e ridacchiarono, flirtarono un po’ e si scambiarono confidenze, che era l'esatto opposto di ciò che il folletto avrebbe voluto. Alla fine, il ragazzo confessò alla ragazza che non era davvero malato, ma che i suoi pantaloni erano scomparsi. Lei scoppiò a ridere alla sua confessione, il che diede al folletto un grande piacere mentre ascoltava da dietro la porta. Il giorno dopo, il ragazzo era nel fienile della stalla, a raccogliere il fieno per il bestiame. Aveva appena gettato via l'ultima balla di fieno, quando vide i suoi pantaloni che pendevano dal punto più alto del fienile. "Quindi è lì che devi andare", pensò il ragazzo. "Beh, maestro Folletto, forse mi hai giocato un brutto scherzo, ma vediamo chi ride per ultimo." Lasciò i pantaloni dov'erano, ma più tardi quella notte si intrufolò nella stalla e rimase in attesa del folletto. Non molto tempo dopo, lo vide entrare nella stalla e scavalcare le travi fino ai pantaloni. Li prese, li indossò e iniziò a ballare, saltellando allegramente da una trave all'altra. Rise e parlò da solo, ovviamente molto contento di aver giocato un simile scherzo al ragazzo. Il giorno dopo, di buon'ora, il ragazzo entrò nella stalla, si arrampicò sulle travi e iniziò a rimuovere tutti i chiodi, lasciando le travi appoggiate dove si trovavano. C'era solo una trave, all'estremità del fienile che aveva lasciato così com’era, poiché i chiodi erano stati piantati troppo in profondità per essere rimossi. La fattoria aveva un cane da guardia; una bestia selvaggia a cui solo il ragazzo osava avvicinarsi quando era incatenato. Ogni notte, il folletto entrava nell'aia e stuzzicava il cane senza pietà, ma stava sempre attento a rimanere oltre il limite della portata della forte catena, mentre il cane si scagliava contro di lui. Quando si fece sera, il ragazzo uscì e tolse due anelli dalla catena del cane. Li unì di nuovo insieme con filo di cotone, sapendo benissimo che quando il folletto sarebbe tornato a molestare il cane, questo avrebbe sicuramente spezzato il filo, mentre gli si avvenatava contro con furia. Più tardi quella notte, quando tutti erano a letto, il ragazzo faceva la guardia dalla finestra. Vide il folletto passeggiare nell'aia e, come al solito, dirigersi verso il cane. Si fermò appena oltre la lunghezza della catena, lo puntò e gli ringhiò, prima di girargli intorno. "Grr, grr, guh - rowl, guh - rowl," lo provocò. "Non ti piacerebbe mordermi? Grrrr... " Il cane balzò verso di lui, ruppe il filo di cotone che teneva insieme la catena e affondò i denti nel mantello del folletto, che quasi saltò fuori dalla sua pelle e corse nella stalla, lasciandosi dietro il cappotto, con il cane che gli ringhiava alle calcagna. Una volta nella stalla, l'unico suo pensiero fu di raggiungere la sicurezza della trave più vicina, ma non appena ci appoggiò il suo peso, sia lui che la trave caddero con un tonfo sul pavimento ricoperto di paglia. Il cane gli saltò addosso immediatamente e gli diede un bel morso sul sedere. Il folletto si rimise di nuovo sulle sue gambe e si diresse verso la trave successiva. Ma anche questa si schiantò a terra sotto il suo peso e il poverino si ritrovò di nuovo in balia del cane. Ogni trave che provava era lo stesso: cadeva a terra e il cane gli era addosso, strappandogli i vestiti. Alla fine, il folletto raggiunse la sicurezza dell’unica trave che era ancora inchiodata, e lì si sedette a curarsi le ferite, guardando il cane che era in agguato sotto di lui. Quando spuntò l'alba, il ragazzo si avvicinò di soppiatto alla stalla e trovò il folletto ancora seduto sulla trave. Era immerso nei suoi pensieri, raccogliendo i resti dei bei pantaloni ed esclamando ripetutamente a se stesso: "Sono a brandelli. Sono a brandelli. " La storia non è tutta qui. Comunque il ragazzo e il folletto divennero amici e da quel giorno nessuno andò più a disturbare il cane. (Tradotto dalla versione inglese pubblicata in "Folk and Fairy Tale from Denmark" - http://www.talltales.me.uk - Stephen Badman e la sua opera sul folklore daneseStephen Badman è storyteller e performer gallese da 40 anni, ha fondato il Gwent Theatre in Education per l'applicazione del teatro e dello storytelling nell'educazione scolastica. E' traduttore dal danese e per questo collabora con il Dansk Folkemindesamling (Danish folklore archives) e con il Centro di ricerca dialettologica dello Jutland presso la Århus University.
Ha pubblicato dieci volumi di racconti popolari tradotti in inglese dal danese e i suoi dialetti: "Tales from Denmark", "More Tales from Denmark", "The Ghost on Horseback", "Three Pieces of good Advice", "The Soldier and Mr Scratch", "Odds and Sods" and "The Cat's Castle". Gli ultimi libri, `Folk and Fairy Tales from Denmark` vols. 1 & 2, sono una raccolta delle storie di E T Kristensen e`Folk and Fairy Tales from Denmark` sono le storie raccolte da Jens Kamp. Molte storie non erano mai state tradotte in un'altra lingua europea, e quindi Badman con il suo infaticabile impegno, ha permesso che fossero conosciute ad un pubblico molto più ampio. Sono tanto più preziose, perché conservano i tratti originali della narrazione popolare autentica, come spiega lo stesso traduttore in queste righe: "Queste storie fanno parte del canone meravigliosamente ricco dei racconti popolari europei, ma sono comunque uniche in virtù della loro geografia e della società che riflettono. La Danimarca agricola del XVIII e XIX secolo era molto diversa dalla Danimarca di oggi; la maggior parte della brughiera desolata doveva ancora essere ripulita e l'agricoltura, per coloro che si trovavano ai gradini più bassi della scala sociale, era a un livello di sussistenza minimo. Si lavorava nei campi dall'alba al tramonto, prima di tornare a casa e continuare a lavorare (cardatura, filatura, tessitura, maglieria e mille faccende domestiche) alla luce di una lampada a olio o di un fuoco di torba. Quando il tempo del raccolto arrivava nelle grandi tenute c'era una migrazione di massa di uomini e donne in cerca di lavoro. Sarebbero stati ospitati nei granai e di notte, al termine della giornata di lavoro, avrebbero raccontato le loro storie dove l'eroe era il povero pastore che si prendeva cura del suo gregge nella brughiera e lo scudiero locale veniva elevato a "Re". nel castello`. Le fiabe che ci sono familiari ora, tuttavia, hanno perso l'immediatezza e la "verità" del racconto orale e sono state adattate per fornire poco più che intrattenimento per i bambini. Nel XIX e XX secolo, le fiabe di magia divennero inestricabilmente legate alla letteratura per bambini. Le storie sono state modificate e disinfettate; i temi per adulti sono stati omessi per rendere le storie più accettabili. Fu aggiunto un tono moralizzante, in particolare durante l'età vittoriana; una caratteristica spesso vista in alcuni dei racconti realizzati da Grundtvig e in alcune delle storie di Jens Kamp. Nel ventesimo secolo, le fiabe sono diventate sinonimo di Walt Disney che ha rivolto i suoi adattamenti cinematografici a bambini e famiglie. La grafica distorceva la vera natura dei motivi nelle storie e al pubblico si fornivano immagini già pronte e spesso carine, che riducevano la necessità di utilizzare l'interpretazione personale e l'immaginazione. I suoi film sono ancora molto popolari e offrono un'esperienza confortevole per il pubblico, completa di lieto fine obbligatorio. Si può affermare che questa evoluzione negli ultimi due secoli abbia decisamente avviato la fiaba di magia sulla via dell'estinzione, riducendola a una rappresentazione unidimensionale del trionfo del bene sul male, e privandola della sua vera natura per adattarla al consumo familiare. Le storie in "Tales from Denmark" rivisitano la tradizione orale e sono pensate per essere lette ad alta voce; sono state registrate nel dialetto e nei modelli di discorso dei narratori, senza alcun tentativo di dare loro una patina letteraria. Gli stessi narratori provenivano da contesti rurali e andavano a raccontare tra agricoltori, casalinghe, allevatori e insegnanti. Hanno il pregio di essere raccolti alla fonte e riflettono le voci dei narratori originali. Le storie non sono adattamenti unidimensionali ritenuti adatti per un pomeriggio rilassante di intrattenimento familiare, ma hanno la capacità di fornire le basi per discussioni significative. I temi universali dell'eredità, delle relazioni e delle dinamiche familiari, dello status, del bene e del male sono ancora rilevanti nella società odierna, come quando furono registrati per la prima volta. I temi e le questioni sono senza tempo; purtroppo, è la nostra mancanza di tempo che ha oscurato la loro importanza". ---------------------------------------------------- Ringrazio Stephen Badman per avermi permesso di pubblicare qui la mia traduzione di "Knee Breeches".L'intento tra storyteller è sempre quello di far circolare le storie e di diffonderle il più possibile, affinché vengano ancora raccontate e tenute in vita. Ma bisogna sempre chiedere l'autorizzazione a chi ce le consegna! Con il permesso di Linda Williamson, pubblico la traduzione italiana di questa preziosa storia di Natale, raccontata dal grande narratore scozzese Duncan Williamson (1928-2007). La sua opera continua ad essere trasmessa da Linda, nella sua pagina facebook potrete trovare tante bellissime storie. L’Albero di Natale e il Pettirosso |
AuthorColtivo l'arte della narrazione orale o 'storytelling' come disciplina artistica e mezzo per comunicare con mondi diversi. Archives
March 2022
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