enedinasanna.com
  • Home
  • About
  • Blog
  • Creazioni
  • Press
  • Contact
  • Home
  • About
  • Blog
  • Creazioni
  • Press
  • Contact
Picture

Un'intervista su Scarp de' tenis

11/3/2022

0 Comments

 
E' un vero onore per me la pubblicazione di un'intervista su Scarp de' tenis, il più diffuso "street magazine" in Italia, grazie alla scrittrice Daniela Palumbo che ha voluto rivolgermi le sue domande sul libro "Piccolo Manuale di Storytelling" e più in generale sull'arte della narrazione orale. 
Qui di seguito la parte iniziale dell'intervista, ma vi invito ad acquistare la pubblicazione, disponibile sia cartacea che pdf a questo link , i cui proventi vanno ad attività di sostegno per persone senza dimora.
Questa è la copertina del numero 258 - marzo 2022 - disegnata da Mauro Biani
Picture
Scarp de’ tenis è un giornale, ma anche un progetto sociale. Protagonisti del quale sono le persone senza dimora, e altre persone in situazione di disagio personale o che soffrono forme di esclusione sociale. Il giornale intende dare loro un’occupazione e integrare il loro reddito. Ma intende in primo luogo accompagnarli nella riconquista dell’autostima (che consente di investire sul proprio futuro) e di un’effettiva dignità da cittadini (aiutandoli anzitutto a ottenere la residenza anagrafica, condizione per fruire di ogni altro diritto di cittadinanza e dei servizi sociali territoriali). E poi li sostiene, nel cammino per ricostruirsi una casa, un lavoro, un buono stato di salute, una capacità di risparmio, relazioni con la famiglia e il territorio.
A pag. 32 e seguenti, la mia intervista e poi una ballata inedita dello scrittore Salvatore Niffoi.
Picture
La rivista Scarp de tenis può essere ordinata qui https://www.social-shop.it/
0 Comments

Il mio piccolo manuale di Storytelling o ...

29/6/2021

0 Comments

 

... del raccontare con la voce

Nato per rimettere in ordine le parole (che cos'è lo "storytelling" che va tanto ti moda?), si trasforma pagina dopo pagina in uno strumento per ritrovare prima di tutto il piacere di ascoltare storie raccontate con la sola voce, senza tecnologia o effetti speciali, per poi esercitarsi nella ricerca e nella narrazione.
Il libro è disponibile in forma ebook, distribuito da Book Republic su tutte le piattaforme online, mentre la versione cartacea può essere richiesta direttamente a archividelsud@gmail.com 
Picture
L'immagine di copertina si ispira ad una fotografia che ho scattato nel 2018 durante il Festival dei narratori tunisini "fdawi" a Sousse. In questa immagine si vede un ragazzo che ripete la sua storia all'insegnante prima di esibirsi davanti al pubblico. Il festival aveva infatti organizzato quell'anno un concorso per le scuole, per diffondere e mantenere viva anche tra i più giovani l'arte della narrazione orale. Ed è ciò che mi propongo anche io con questo libro.
​
Nella quarta di copertina, invece, mi trovo a fare una delle cose che amo di più: la ricerca sul campo, ascoltare storie di vita, saggezza e pratiche antiche. In questo caso la persona intervistata è un pescatore e costruttore di nasse.
(Le immagini sono realizzate da Maria Francesca Melara, la grafica di copertina è di Mohammed Hassona, l'impaginazione di Sara Pilloni)
Picture
Questo è l'indice del volume:
Introduzione
Per chi
Perché?
Quanto è antica l’arte del raccontare
Ascoltare
Alla ricerca di storie
L’indagine sul campo
La ricerca delle varianti
Tipi e motivi: la classificazione internazionale
Fonti orali indirette: gli archivi sonori
Le fonti scritte
Comparare le varianti
Il rischio di una storia unica
Il restauro
Ciò che si perde
L’improvvisazione
Contesti e occasioni del narrare
Il repertorio
Storie di paura
A proposito del significato delle fiabe
Diritti da rispettare
Imparare a raccontare
Mandare a memoria
Tecniche per la prima memorizzazione
Le prove
La voce
Il timbro
Il respiro
Prosodia e paralinguaggio
Comunicazione interattiva
La gestualità
Il linguaggio verbale
Tecniche della performance orale
Passiamo alla pratica: Raccontiamo davanti ad un uditorio!
Adeguare il repertorio al contesto
Prima della performance
La performance: inizio-narrazione-chiusura
Dopo la performance
Costruire gruppi e comunità di storytellers
Conclusioni
Sezione Approfondimenti
Bibliografia
Sitografia
​
Il "Piccolo Manuale di Storytelling o del Raccontare con la Voce" è uno strumento per capire e praticare l'arte della narrazione orale. Abbiamo bisogno di narratori e narratrici di questo tempo, per ricucire i fili che ci legano alle generazioni passate e per tessere i legami tra le persone nelle comunità di oggi. Siamo tutte e tutti storytellers, non occorre aspettare di avere le rughe. Ma c’è un metodo e una disciplina. Raccontare è il modo più sicuro, duraturo ed ecologico di lasciare la nostra buona impronta sulla terra.
clicca qui per l'acquisto
0 Comments

La ricerca delle storie (1): il restauro

26/11/2020

0 Comments

 
Quando si va alla ricerca di storie antiche, di racconti popolari tramandati attraverso le generazioni, spesso si trovano frammenti sparsi o versioni incomplete. Allora la ricerca procede come per l'archeologo nello scavo e nel successivo restauro.
Picture
Museo Archeologico di Alghero (foto Enedina Sanna)
Primo rilevamento: nella vostra indagine (che siano fonti orali o scritte) avete individuato la traccia di una "Prezzemolina". La riconoscete subito, anche se la madre non va a mangiare il prezzemolo, ma un altro vegetale. E anche se, rispetto alla fiaba più nota, cambia il custode dell'orto (orco/orca/diavolo).
Tuttavia, nel dipanarsi del racconto, la vostra fonte manca di alcuni passaggi (o "motivi") rispetto alla versione più nota. Non è chiaro, ad esempio, con quale stratagemma la ragazza riesce a fuggire dalla torre. 
Seconda fase, "il restauro": la comparazione con altre varianti ci consentirà di colmare il gap, il vuoto di informazione dovuto ad una trasmissione incompleta o frammentaria. 
In questo caso siamo autorizzati a completare la versione ritrovata con il "motivo" preso da un'altra variante. 
Ci sono particolari che sono essenziali per la comprensione della storia, ma che qualche informatore può aver perso lungo la strada della trasmissione orale.
Il ricercatore/storyteller fa in modo che le storie ritornino complete, ma evita il rischio di manipolazioni non autorizzate dalla tradizione. Come? Attraverso una conoscenza approfondita dei materiali e delle fonti. Esattamente come un archeologo o un restauratore. Le stesse regole che valgono per i beni culturali materiali, valgono anche per questi beni immateriali o "volatili", come li definiva Alberto Mario CIrese.
Terzo  passaggio: in occasione della narrazione della storia che abbiamo così restaurato, sarà significativo raccontare anche il percorso della ricerca, se il contesto lo consente. Nel caso di un uditorio composto da adulti, da "addetti ai lavori" e da persone in genere interessate all'arte del narrare, è bello completare sempre con le fonti  e con il processo che ci ha portato a definire questa versione.

​L'esperienza della ricostruzione dei racconti può essere anche un'ottima attività creativa nella scuola, dalla primaria fino alle superiori. Insegna la ricerca delle fonti, la comparazione, la riscrittura con le parti mancanti. Che può portare a tante versioni diverse, e tutte ugualmente "vere". Si può lavorare in gruppo e ascoltarsi a vicenda, senza contestare, senza imporre la propria opinione, semplicemente considerare le diverse possibilità offerte all'interno di una medesima struttura. 

Ancora un altro contesto in cui è molto proficuo e avvincente il lavoro di ricostruzione è quello con gli anziani. Spesso è proprio qui che incontriamo le storie incomplete, i frammenti, addirittura è rimasto solo il titolo, "ma la storia non me la ricordo proprio, ricordo solo che mi faceva tanta paura". E' naturale che la completezza del testo si sia smarrita: non avendo più avuto occasione di raccontare, la storia si è smembrata e poi inevitabilmente dissolta tra i meandri della memoria.
E' del tutto naturale che una persona anziana sollecitata a raccontare "a freddo" vi risponda che non ricorda niente. Sarà necessario un esercizio di "riscaldamento" per far riemergere pian piano i ricordi. Parliamo di altre cose, poi ritorniamo ad interrogare sulla storia che ci interessa. Ma con pazienza e gentilezza. Alla fine è possibile che la storia completa non riemerga. Starà a noi, ricercatori/storyteller, raccontarne una versione completa alla persona anziana. Sarà insomma uno scambio dialogico, sarà come un raccontare a due voci. Al vecchio non resterà la sensazione negativa di non essere stato capace di ricordare, e per tutt'e due resterà il ricordo di una bellissima conversazione, di un passaggio reciproco di memoria e tenerezza.  

Picture
0 Comments

L'arte del narrare l'ho imparata nei caffè di Montevideo

20/11/2020

0 Comments

 
Non ho avuto la fortuna di conoscere Sheherazade, non ho appreso l'arte del narrare nei palazzi di Baghdad, la mia università furono i vecchi caffè di Montevideo, i narratori anonimi mi insegnarono ciò che so.
Nella scarsa educazione formale che ebbi (non superai la prima liceo), fui un pessimo studente di storia. E nei caffè scoprii che il passato era presente e che la memoria poteva essere raccontata in una maniera tale che smetteva di essere “ieri” per diventare "ora".
Non ricordo il nome né il viso dei miei primi "professori"… che si riuniscono ancora nei pochi caffè che restano, per evocare i tempi in cui si aveva il tempo di perdere tempo.
Uno di questi raccontò una storia, quando io ero molto giovane.
Era una storia del 1904. La sua età rivelava che non poteva essere un testimone dei fatti, però raccontava come se ci fosse stato.
Fu la mia prima lezione sull'arte del narrare, che è una bugia che dice la verità.
E ascoltando capii che si poteva raccontare in un modo tale che ciò che era accaduto nel passato ritornava in vita quando uno lo racconta. E capii come si possa sentire quel remoto tuono degli zoccoli dei cavalli, come si possano vedere le impronte nella sabbia, anche se il pavimento è di mattonelle o di legno.
Quell’uomo, per dire la verità, mentiva, dicendo che le aveva percorse, le praterie insanguinate dopo una battaglia, e aveva visto i morti.
E uno dei morti era un angelo, un ragazzo bellissimo, con la fascia bianca, rossa di sangue. E la fascia diceva "Per la Patria e per Lei" e la pallottola era entrata proprio attraverso la parola "Lei".
 
Un secondo racconto sui miei primi passi sull'arte del narrare. 
Il paese boliviano Z. viveva della miniera e la miniera divorava i suoi figli, infilati nelle voragini, nelle viscere della montagna … in pochi anni perdevano i polmoni e la vita.
Avevo passato del tempo lì con loro e avevo degli amici. Era arrivato il momento della partenza. Bevemmo tutta la notte, i minatori ed io, cantando la tristezza, raccontando barzellette delle più cattive.
Quando stava per fare giorno, quando mancava poco al fischio della sirena che li avrebbe richiamati al lavoro, i miei amici rimasero in silenzio tutti insieme e uno di loro mi chiese: "E ora dicci com'è il mare"
Io rimasi in silenzio. Però insistevano: "Raccontaci come è il mare". 
Nessuno di loro l’avrebbe mai visto, tutti sarebbero morti presto. E io non avevo altra scelta che portare loro il mare, il mare che era molto lontano, e trovare le parole che fossero capaci di bagnarli. 


0 Comments

J. P. Sartre e le fate

25/10/2020

0 Comments

 
Picture
Picture
Che cosa c’entra Jean-Paul Sartre con le fate? Lui, il filosofo del materialismo storico, lo scrittore esistenzialista, il grande intellettuale del Café Flore, punto di riferimento della generazione sessantottina. Possibile che si sia occupato di fate, fiabe e quisquilie di questo genere?
Ma anche Sartre è stato un bambino, e nel suo libro autobiografico “Les Mots”, edito da Gallimard nel 1964, vi sono due pagine meravigliose (40-41) in cui si confrontano due modi diversi di incontrare le fiabe: da una parte la narrazione orale, dall’altra la lettura ad alta voce.
Si tratta di un documento molto interessante, dove lo scrittore racconta le modificazioni che la stessa fiaba può subire nel passaggio dalla forma orale a quella scritta e soprattutto rivela il punto di vista del bambino.
Sartre rievoca i momenti in cui la giovane madre, che nel libro chiama con il suo nome Anne-Marie, si dedica al racconto delle fiabe. Ma ad un certo punto qualcosa cambia ...

"Non sapevo ancora leggere, ma ero abbastanza snob per pretendere di avere i miei libri. Mio nonno si recò dal suo editore e si fece dare Les Contes del poeta Maurice Bouchor, racconti tratti dal folklore e adattati al gusto dell'infanzia da un uomo che aveva conservato, diceva lui, occhi da bambino.
Volli incominciare subito le cerimonie di appropriazione. Presi i due piccoli volumi, li annusai, li palpai, li aprii con indifferenza "alla pagina giusta" facendoli scricchiolare. Fu tutto vano: non avevo la sensazione di possederli. Provai ancora senza successo a trattarli come bambole, cullandoli, abbracciandoli, picchiandoli. Quasi in lacrime, finii per deporli sulle ginocchia di mia madre. Lei sollevò gli occhi dal suo lavoro: "Che cosa vuoi che ti legga, tesoro? Le Fate?"[1]. Chiesi incredulo: "Le Fate, sono là dentro?".
Quella storia mi era familiare, mia madre me la raccontava spesso, quando mi lavava, interrompendosi per frizionarmi con l'acqua di colonia, per andare a raccogliere il sapone caduto sotto la vasca, e io ascoltavo distrattamente il racconto ben noto; avevo occhi solo per Anne-Marie, la fanciulla di tutte le mie mattine; avevo orecchie solo per la sua voce offuscata dalla sottomissione; mi sentivo bene con le sue frasi incompiute, con le sue parole sempre in ritardo, con la sua brusca sicurezza, che subito veniva meno capovolgendosi  in una disfatta per sparire in una sfilacciata melodia e ricomporsi dopo un silenzio.
La storia, era lì quasi per caso. Era il legame per i suoi soliloqui. Per tutto il tempo che lei parlava noi eravamo soli e clandestini, lontano dagli uomini, dagli dei e dai preti, due cerve nel bosco, con quelle altre cerve, le Fate; non potevo credere che si fosse potuto scrivere tutto un libro per rappresentarvi questo episodio della nostra vita profana che sapeva di sapone e di acqua di colonia.
Anne-Marie mi fece sedere di fronte a lei, sulla mia seggiolina; si chinò, abbassò le palpebre, si addormentò. Da quel viso di statua uscì una voce di gesso. Mi sentii smarrito: chi raccontava? Che cosa? E a chi? Mia madre si era assentata: non un sorriso, non un segno di complicità, ero in esilio. E poi non riconoscevo il linguaggio. Da dove tirava fuori quella sicurezza? All'improvviso capii: era il libro che parlava. Ne uscivano fuori delle frasi che mi spaventavano: era dei veri e propri millepiedi, brulicavano di sillabe  e di lettere, stiravano i dittonghi, facevano vibrare le consonanti doppie; canterine, sonore, inframmezzate di pause e sospiri, ricche di parole sconosciute, procedevano nell'incanto di se stesse e nei loro meandri senza preoccuparsi di me: talvolta sparivano prima che avessi potuto afferrarne il senso, altre volte avevo già capito, ma loro continuavano ad estendersi con eleganza verso la loro fine senza neanche concedermi la grazia di una virgola. Ero sicuro,  quel discorso non era destinato a me. Quanto alla storia, si era vestita a festa: il boscaiolo, la moglie e le loro figlie, la fata, tutte quelle personcine, nostri simili, avevano acquisito maestosità; si parlava dei loro stracci con magnificenza, le parole opprimevano le cose, trasformando le azioni in riti e gli avvenimenti in cerimonie.
Qualcuno si mise a fare domande: l'editore di mio nonno, specializzato nella pubblicazione di opere scolastiche,  non perdeva occasione per esercitare la giovane intelligenza dei suoi lettori. Ebbi l'impressione che le domande fossero rivolte ad un bambino: che cosa avrebbe fatto al posto del boscaiolo? Quale delle due sorelle preferiva? Perché? Approvava il castigo di Babette? Ma quel bambino non ero affatto io e avevo paura di rispondere. E tuttavia risposi, la mia fragile voce si smarrì e mi sentii un altro. Anche Anne-Marie era un'altra, con la sua aria da cieca iperveggente: avevo la sensazione di essere il figlio di ogni madre e lei la madre di ogni figlio. Quando smise di leggere, le tolsi subito i libri e me li portai via senza dire grazie". (mia traduzione) 

Il legame di intimità stabilito dalla narrazione orale si dissolve di fronte alla voce "di gesso" della lettura. Non si vuole con questo suggerire che la narrazione orale sia da preferire alla lettura ad alta voce, ma si tratta di due modalità molto diverse, che spesso vengono confuse o si pensa siano più o meno la stessa cosa.  
Ad allontanare ancora di più il bambino che ascolta dalla voce che legge c'è quella manìa di certi editori di "libri per l'infanzia" di riscrivere i testi popolari in uno stile letterario, credendo di abbellirli. E per finire, non bastasse la "morale",  ci sono anche le domande per verificare la comprensione del testo. 
​
Ecco come far svanire le fate. Per questo, si dice, non le si vede più nel nostro mondo...


​



[1] “Les Fées” è una delle fiabe contenute nella famosa raccolta di Charles Perrault, Contes de ma mère l’Oye, ed è una delle più note ai bambini europei. Due bambine vanno dalle fate: la prima, buona e generosa, riceverà dei doni, mentre la seconda, pigra e sgarbata, sarà punita. 



​
​

0 Comments

Il gomitolo del tempo

14/10/2020

0 Comments

 
Picture
Quanto sono antichi i racconti popolari giunti fino a noi attraverso la trasmissione orale e poi la scrittura?
Da quanto tempo gli esseri umani "raccontano"? 
E' un tema che ha sempre appassionato i cercatori di storie. Indagini che hanno portato indietro nel tempo fino a 30.000/70.000 anni fa almeno,  fino al tempo della rivoluzione cognitiva, secondo quanto ricostruisce l'eclettico studioso Y. N. Harari  nel suo saggio "Sapiens. Da Animali a dèi" (edizione italiana Bompiani, 2017).
La capacità dei Sapiens di sviluppare un linguaggio particolarmente duttile e poi di comunicare non solo sulla realtà, ma anche su cose che non esistono affatto, segna il punto di svolta di una rivoluzione che porterà la nostra specie a dominare sugli altri animali. 
​La rivoluzione cognitiva si attua quando i nostri progenitori iniziano non solo a scambiarsi informazioni utili ("C'è un leone nell'ansa del fiume"), ma anche a formulare comunicazioni come "Il leone è lo spirito guardiano della nostra tribù", a cui i membri della tribù credono. ​​

Picture
Un altro passo in avanti, è il piacere di parlare per parlare, la chiacchiera, anzi ancora meglio il gossip, il pettegolezzo. Secondo gli studiosi, questa brutta abitudine di parlare dei fatti degli altri è alla base dello sviluppo del linguaggio come legame sociale. E dal momento che i Sapiens sono animali sociali per eccellenza, avendo capito che solo formando comunità sempre più estese e coese sarebbero riusciti a superare le oggettive condizioni di inferiorità rispetto ad altre specie, ecco che sviluppano la creazione e la propagazione di miti, storie su fatti che non esistono nella realtà, ma che tengono insieme tutti coloro che ci credono. 
​Dai tempi dell'uomo-leone della grotta di Stadel in Germania (32.000 anni fa), ma molto probabilmente ancora prima, gli umani sono capaci di creare una realtà fantastica attraverso il linguaggio. 
Sono talmente tenaci queste credenze basate sui racconti fantastici che hanno attraversato migliaia di anni, diffondendosi solo attraverso la voce. I grandi miti, le epopee e le saghe, ma anche i più umili aneddoti, storielle salaci, fiabe popolari, si sono propagati insieme al diffondersi dell'Homo Sapiens in tutti i continenti e sono arrivati fino a noi solo in tempi recentissimi attraverso la scrittura e poi su altri nuovi mezzi di comunicazione.
Se dovessimo srotolare un gomitolo del tempo di 30.000 anni, e suddividerlo in 30 parti che rappresentano ognuna 1000 anni, vedremmo che solo nelle ultime sezioni compare la scrittura: i racconti più antichi, come il ciclo di Gilgamesh, sono stati fissati su tavolette d'argilla circa 3000 anni fa. Ma la loro propagazione orale è certamente più antica. E se parliamo di fiabe, dobbiamo attendere l'interesse delle corti del Seicento o dei glottologi ottocenteschi per vedere pubblicate le prime raccolte. 
Per quanto oggi l'oralità possa apparire effimera e volatile nella trasmissione di informazioni (abbiamo infatti sempre bisogno di annotare o registrare su un supporto cartaceo o digitale), in realtà essa è il mezzo più certo e duraturo per trasmettere informazioni importanti nel tempo, se parliamo su una scala temporale di migliaia di anni. E' quanto dimostra Umberto Eco nel suo saggio "La Memoria Vegetale" (Bompiani 2011). 
Per questo gli/le storytellers erano sacri/e al pari degli/delle sciamani/e.
E per questo narratori e narratrici di oggi dovrebbero essere sempre consapevoli, quando raccontano, qualsiasi cosa raccontino, di essere un punto nel filo ininterrotto fatto di voci e parole, sussurrate e gridate, di uomini e donne che, migliaia di anni prima di noi su questa terra. hanno voluto condividere con noi sogni, paure, desideri in forma di racconto. 


Picture
Il gomitolo del tempo accanto ad un'opera di Maria Lai, La porta delle Janas (1995)
0 Comments

... o dell'arte del raccontare

7/10/2020

0 Comments

 
Picture
​Si fa un gran parlare di 'storytelling', va di moda nei circoli della politica come del business. Ma qui vi parlerò più semplicemente dell'arte antica del raccontare con la voce. Storytelling appunto, ma nella sua accezione originaria, che ci ricollega ai primi esseri umani seduti intorno al fuoco ad inventare storie.
'To tell' o 'Raccontare' o 'Conter' in francese, sono tutte parole che nella loro origine etimologica significano 'contare', 'calcolare'.
"Del resto, che cosa si fa quando si racconta se non mettere in ordine, uno dietro l'altro in una sequenza, gli elementi di una storia?" diceva la narratrice Mara Baronti.
Raccontare significa dare una forma intelligibile e, in qualche modo, controllare il misterioso e ininterrotto flusso dell'immaginazione che caratterizza la mente dell'homo sapiens. 
Il legame che si crea attraverso la voce narrante è qualcosa di primordiale, che sta alla base della capacità umana di creare comunità sempre più grandi e complesse. 
Nessun nuovo mezzo di comunicazione tecnologico è mai riuscito a scalfire il piacere di raccontare e ascoltare storie narrate solo con la voce, dal semplice racconto di un fatto personale tra amici alle forme più elaborate e rituali, come la narrazione di fiabe ai nostri bambini. 
In questo blog vi parlerò della narrazione orale come arte performativa, lo spettacolo per voce sola che racconta e crea visioni, apre sentieri, spalanca le porte dell'immaginazione. 
0 Comments

    Author

    Coltivo l'arte della narrazione orale o 'storytelling' come disciplina artistica e mezzo per comunicare con mondi diversi.
    Il blog nasce dal desiderio di trasmettere ciò che ho imparato (e che continuo ad imparare ogni giorno) su quest'arte.

    ---
    Copyright © 2020, “enedinasanna.com” – Tutti i diritti riservati

    Picture

    Archives

    March 2022
    February 2022
    June 2021
    April 2021
    February 2021
    January 2021
    December 2020
    November 2020
    October 2020

    Categories

    All
    Arte Della Narrazione
    In Sardu
    Libri
    Storie

    RSS Feed

Site powered by Weebly. Managed by SiteGround