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Un'altra storia per Natale. Dal folklore danese, attraverso la traduzione inglese di Stephen Badman: "Il folletto dispettoso" (Knee Breeches)

15/12/2020

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Il folletto dispettoso, si intitola questa storia, ma il titolo in inglese è "Knee Breeches" ovvero 'pantaloni al ginocchio', che come scoprirete, finiranno alla fine a brandelli. Ma vi voglio anche dire, prima di iniziare la lettura, che il folletto nella versione inglese è il "brownie" e in danese è "nisser": una creatura che abita nelle fattorie, dove rende i suoi servizi, a meno che non decida di diventare dispettoso. Per tenerlo buono, i contadini avevano l'abitudine di mettere fuori, ogni sera prima di andare a dormire, una ciotola di porridge. 

C'erano una volta un ragazzo e una ragazza che lavoravano in una fattoria. Il ragazzo era un bel tipo e la ragazza era molto carina, entrambi erano bravi nel loro lavoro e divennero buoni amici.
Nella fattoria viveva anche un brownie, un folletto, che era infatuato della ragazza. Ogni notte, portava acqua fresca e carburante in cucina prima di andare nella stalla, dove lavava e puliva sotto le mucche in modo che tutto fosse perfettamente pulito per quando la ragazza andava a mungerle, la mattina dopo.
Il folletto, però, non era altrettanto ben disposto nei confronti del ragazzo. Quando arrivava la sera e il ragazzo si infilava in cucina per scambiare due parole con la ragazza, il folletto correva sul pavimento di pietra verso la cucina, imitando il passo del proprietario, in modo che il ragazzo si affrettasse a uscire dalla porta sul retro e tornare ai suoi alloggi. Quando la ragazza apriva la porta della cucina per vedere chi c'era fuori, non c'era mai nessuno e lei capiva che era opera del folletto. Anche se faceva tutto il possibile per compiacere la ragazza, trovando sempre piccoli lavori da fare che le rendessero la vita più facile, lei era arrabbiata con lui, perché si comportava in quel modo con il suo ragazzo.
Quando giunse la vigilia della festa del paese, la ragazza preparò per il folletto una ciotola di porridge, come era consuetudine. Per quell’occasione si usava aggiungere una noce di burro che si scioglieva nel porridge, mentre si mescolava. La ragazza era ancora indispettita con il folletto, perciò incise la forma della croce nel porridge, pensando che si sarebbe arrabbiato con lei e avrebbe smesso di starle dietro. Ma il suo piano non funzionò. Il folletto non toccò il porridge, ma non diede fastidio alla ragazza; l'amava così tanto, poverina.
Con l'avvicinarsi del giorno di San Michele, furono fatti i preparativi per la grande festa del raccolto, con musica e balli, che si sarebbe svolta nella ricca tenuta di un vicino. Il contadino, sua moglie, il ragazzo e la ragazza erano stati tutti invitati e negli ultimi giorni prima della festa, ogni momento libero del loro tempo era dedicato alla scelta del loro guardaroba per l'evento. In quel tempo, gli uomini indossavano pantaloni gialli al ginocchio per occasioni importanti e il ragazzo ne possedeva un paio del genere, con bottoni gialli lucidi. Qualche giorno prima della festa, il ragazzo lavò i pantaloni nell'abbeveratoio del cortile, li stirò per eliminare tutte le pieghe e li appese nella stalla ad asciugare.
Ora succede che il folletto va nella stalla quello stesso giorno. Vede i pantaloni stesi nella stalla e si rende conto che appartenevano al ragazzo. La sua gelosia si impadronisce di lui e decide di fare uno scherzo al ragazzo, uno scherzo che gli avrebbe impedito di andare alla festa.
Prende i pantaloni e li appende nella parte più alta della stalla, tutto contento perché sapeva che se il ragazzo non avesse avuto i calzoni da indossare, non sarebbe potuto andare alla festa e non avrebbe potuto ballare con la ragazza.
Il giorno dopo, il ragazzo va nella stalla a ritirare i pantaloni e non riesce a trovarli. Cerca ovunque, ma niente. Ha continuato a cercare fino al giorno della festa, ma non si trovavano da nessuna parte. Il povero ragazzo alla fine si è trovato in una situazione difficile senza via d'uscita; non aveva altra scelta che dire che si sentiva male e che sarebbe rimasto a casa invece di andare alla festa.
Il folletto era felicissimo, sghignazzava tutto contento, ma la sua gioia si trasformò presto in sgomento, quando anche la ragazza si scusò e disse che non sarebbe andata alla festa.
Il ragazzo e la ragazza rimasero a casa da soli e si divertirono moltissimo. Sussurrarono e ridacchiarono, flirtarono un po’ e si scambiarono confidenze, che era l'esatto opposto di ciò che il folletto avrebbe voluto.
Alla fine, il ragazzo confessò alla ragazza che non era davvero malato, ma che i suoi pantaloni erano scomparsi. Lei scoppiò a ridere alla sua confessione, il che diede al folletto un grande piacere mentre ascoltava da dietro la porta.
Il giorno dopo, il ragazzo era nel fienile della stalla, a raccogliere il fieno per il bestiame. Aveva appena gettato via l'ultima balla di fieno, quando vide i suoi pantaloni che pendevano dal punto più alto del fienile.
"Quindi è lì che devi andare", pensò il ragazzo. "Beh, maestro Folletto, forse mi hai giocato un brutto scherzo, ma vediamo chi ride per ultimo."
Lasciò i pantaloni dov'erano, ma più tardi quella notte si intrufolò nella stalla e rimase in attesa del folletto. Non molto tempo dopo, lo vide entrare nella stalla e scavalcare le travi fino ai pantaloni. Li prese, li indossò e iniziò a ballare, saltellando allegramente da una trave all'altra. Rise e parlò da solo, ovviamente molto contento di aver giocato un simile scherzo al ragazzo.
Il giorno dopo, di buon'ora, il ragazzo entrò nella stalla, si arrampicò sulle travi e iniziò a rimuovere tutti i chiodi, lasciando le travi appoggiate dove si trovavano. C'era solo una trave, all'estremità del fienile che aveva lasciato così com’era, poiché i chiodi erano stati piantati troppo in profondità per essere rimossi.
La fattoria aveva un cane da guardia; una bestia selvaggia a cui solo il ragazzo osava avvicinarsi quando era incatenato. Ogni notte, il folletto entrava nell'aia e stuzzicava il cane senza pietà, ma stava sempre attento a rimanere oltre il limite della portata della forte catena, mentre il cane si scagliava contro di lui.
Quando si fece sera, il ragazzo uscì e tolse due anelli dalla catena del cane. Li unì di nuovo insieme con filo di cotone, sapendo benissimo che quando il folletto sarebbe tornato a molestare il cane, questo avrebbe sicuramente spezzato il filo, mentre gli si avvenatava contro con furia.
Più tardi quella notte, quando tutti erano a letto, il ragazzo faceva la guardia dalla finestra. Vide il folletto passeggiare nell'aia e, come al solito, dirigersi verso il cane. Si fermò appena oltre la lunghezza della catena, lo puntò e gli ringhiò, prima di girargli intorno.
"Grr, grr, guh - rowl, guh - rowl," lo provocò. "Non ti piacerebbe mordermi? Grrrr... "
Il cane balzò verso di lui, ruppe il filo di cotone che teneva insieme la catena e affondò i denti nel mantello del folletto, che quasi saltò fuori dalla sua pelle e corse nella stalla, lasciandosi dietro il cappotto, con il cane che gli ringhiava alle calcagna.
Una volta nella stalla, l'unico suo pensiero fu di raggiungere la sicurezza della trave più vicina, ma non appena ci appoggiò il suo peso, sia lui che la trave caddero con un tonfo sul pavimento ricoperto di paglia.
Il cane gli saltò addosso immediatamente e gli diede un bel morso sul sedere. Il folletto si rimise di nuovo sulle sue gambe e si diresse verso la trave successiva. Ma anche questa si schiantò a terra sotto il suo peso e il poverino si ritrovò di nuovo in balia del cane. Ogni trave che provava era lo stesso: cadeva a terra e il cane gli era addosso, strappandogli i vestiti. Alla fine, il folletto raggiunse la sicurezza dell’unica trave che era ancora inchiodata, e lì si sedette a curarsi le ferite, guardando il cane che era in agguato sotto di lui.
Quando spuntò l'alba, il ragazzo si avvicinò di soppiatto alla stalla e trovò il folletto ancora seduto sulla trave. Era immerso nei suoi pensieri, raccogliendo i resti dei bei pantaloni ed esclamando ripetutamente a se stesso: "Sono a brandelli. Sono a brandelli. "
 
La storia non è tutta qui. Comunque il ragazzo e il folletto divennero amici e da quel giorno nessuno andò più a disturbare il cane.


(Tradotto dalla versione inglese pubblicata in "Folk and Fairy Tale from Denmark" - http://www.talltales.me.uk -  
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Stephen Badman e la sua opera sul folklore danese

Stephen Badman è storyteller e performer gallese da 40 anni, ha fondato il Gwent Theatre in Education per l'applicazione del teatro e dello storytelling nell'educazione scolastica. E' traduttore dal danese e per questo collabora con il Dansk Folkemindesamling (Danish folklore archives) e con il Centro di ricerca dialettologica dello Jutland presso la Århus University. 
Ha pubblicato dieci volumi di racconti popolari tradotti in inglese dal danese e i suoi dialetti:
"Tales from Denmark", "More Tales from Denmark", "The Ghost on Horseback", "Three Pieces of good Advice", "The Soldier and Mr Scratch", "Odds and Sods" and "The Cat's Castle".
Gli ultimi libri, `Folk and Fairy Tales from Denmark` vols. 1 & 2,  sono una raccolta delle storie di E T Kristensen e`Folk and Fairy Tales from Denmark` sono le storie raccolte da Jens Kamp.

Molte storie non erano mai state tradotte in un'altra lingua europea, e quindi Badman con il suo infaticabile impegno, ha permesso che fossero conosciute ad un pubblico molto più ampio. Sono tanto più preziose, perché conservano i tratti originali della narrazione popolare autentica, come spiega lo stesso traduttore in queste righe:
"Queste storie fanno parte del canone meravigliosamente ricco dei racconti popolari europei, ma sono comunque uniche in virtù della loro geografia e della società che riflettono. La Danimarca agricola del XVIII e XIX secolo era molto diversa dalla Danimarca di oggi; la maggior parte della brughiera desolata doveva ancora essere ripulita e l'agricoltura, per coloro che si trovavano ai gradini più bassi della scala sociale, era a un livello di sussistenza minimo. Si lavorava nei campi dall'alba al tramonto, prima di tornare a casa e continuare a lavorare (cardatura, filatura, tessitura, maglieria e mille faccende domestiche) alla luce di una lampada a olio o di un fuoco di torba.
Quando il tempo del raccolto arrivava nelle grandi tenute c'era una migrazione di massa di uomini e donne in cerca di lavoro. Sarebbero stati ospitati nei granai e di notte, al termine della giornata di lavoro, avrebbero raccontato le loro storie dove l'eroe era il povero pastore che si prendeva cura del suo gregge nella brughiera e lo scudiero locale veniva elevato a "Re". nel castello`.
Le fiabe che ci sono familiari ora, tuttavia, hanno perso l'immediatezza e la "verità" del racconto orale e sono state adattate per fornire poco più che intrattenimento per i bambini. Nel XIX e XX secolo, le fiabe di magia divennero inestricabilmente legate alla letteratura per bambini. Le storie sono state modificate e disinfettate; i temi per adulti sono stati omessi per rendere le storie più accettabili. Fu aggiunto un tono moralizzante, in particolare durante l'età vittoriana; una caratteristica spesso vista in alcuni dei racconti realizzati da Grundtvig e in alcune delle storie di Jens Kamp.


Nel ventesimo secolo, le fiabe sono diventate sinonimo di Walt Disney che ha rivolto i suoi adattamenti cinematografici a bambini e famiglie. La grafica distorceva la vera natura dei motivi nelle storie e al pubblico si fornivano immagini già pronte e spesso carine, che riducevano la necessità di utilizzare l'interpretazione personale e l'immaginazione. I suoi film sono ancora molto popolari e offrono un'esperienza confortevole per il pubblico, completa di lieto fine obbligatorio.
Si può affermare che questa evoluzione negli ultimi due secoli abbia decisamente avviato la fiaba di magia sulla via dell'estinzione, riducendola a una rappresentazione unidimensionale del trionfo del bene sul male, e privandola della sua vera natura per adattarla al consumo familiare.

Le storie in "Tales from Denmark" rivisitano la tradizione orale e sono pensate per essere lette ad alta voce; sono state registrate nel dialetto e nei modelli di discorso dei narratori, senza alcun tentativo di dare loro una patina letteraria. Gli stessi narratori provenivano da contesti rurali e andavano a raccontare tra agricoltori, casalinghe, allevatori e insegnanti. Hanno il pregio di essere raccolti alla fonte e riflettono le voci dei narratori originali.
Le storie non sono adattamenti unidimensionali ritenuti adatti per un pomeriggio rilassante di intrattenimento familiare, ma hanno la capacità di fornire le basi per discussioni significative. I temi universali dell'eredità, delle relazioni e delle dinamiche familiari, dello status, del bene e del male sono ancora rilevanti nella società odierna, come quando furono registrati per la prima volta. I temi e le questioni sono senza tempo; purtroppo, è la nostra mancanza di tempo che ha oscurato la loro importanza".
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Ringrazio Stephen Badman per avermi permesso di pubblicare qui la mia traduzione di "Knee Breeches".L'intento tra storyteller è sempre quello di far circolare le storie e di diffonderle il più possibile, affinché vengano ancora raccontate e tenute in vita. Ma bisogna sempre chiedere l'autorizzazione a chi ce le consegna! 
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Una storia di Natale. Dal repertorio del grande storyteller scozzese Duncan Williamson

10/12/2020

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Con il permesso di Linda Williamson, pubblico la traduzione italiana di questa preziosa storia di Natale, raccontata dal grande narratore scozzese Duncan Williamson (1928-2007). La sua opera continua ad essere trasmessa da Linda, nella sua pagina facebook potrete trovare tante bellissime storie.

L’Albero di Natale e il Pettirosso
Come fu che l’abete diventò sempreverde

​Era il tempo di Natale quando un piccolo pettirosso se ne andava saltellando nella foresta.
E alcuni bambini che giocavano fuori casa lo videro. Ora, i pettirossi sono molto socievoli, dovunque voi siate nella foresta, loro vi vengono incontro. E uno dei ragazzi, che era un po’ selvaggio e maligno, gridò: “C’è un pettirosso!” Prese una pietra, la lanciò, colpì il pettirosso e gli spezzò un’ala. L’uccello svolazzò via come poté tra l’erba. E i ragazzi se ne andarono senza preoccuparsi più del piccolo animale.
Così il pettirosso sbucò fuori dall’erba. Sapeva che non avrebbe potuto volare per molti mesi, perché la sua ala era spezzata. E poiché sopraggiungeva il tempo del freddo inverno, pensò: “Devo trovarmi un rifugio, un posto dove poter stare e riposare e trovare un pò di cibo, dove nessuno possa farmi del male”.
Il pettirosso viveva in una foresta dove c’erano molti, molti alberi di ogni tipo; frassini e salici, faggi e querce, abeti e insomma ogni sorta di alberi. Così il primo pensiero del pettirosso fu: “Andrò da uno di questi alberi a chiedere che mi diano un riparo. Non posso mica andare dagli uomini, loro tutt’al più potrebbero spezzarmi l’altra ala!”. E saltellò zoppicante attraverso la foresta, trascinandosi dietro la povera ala rotta.
Il primo albero che incontrò era un grande faggio:
“Per favore, Signor Faggio, per favore, aiutami”. E il faggio gli parlò: “Cosa vuoi uccellino?” E lui: “Dei ragazzacci mi hanno spezzato un’ala e ora ho bisogno di un riparo. Per favore, mi puoi aiutare? Potresti nascondermi tra i tuoi rami, almeno finché la mia ala non guarirà”.
“Gira alla larga – rispose il faggio – non ho tempo da perdere con i piccoli uccelli come te. Venite qui, beccate le mie bacche, mangiate i miei semi. Sta’ alla larga, ti dico, non ho tempo per voi piccoli uccelli!”.
Così il povero pettirosso continuò a zoppicare attraverso la foresta e per giunta incominciò a nevicare. Continuò ad andare avanti, trascinando la povera ala rotta, finché arrivò davanti ad una grande quercia. La quercia aveva così tanti rami che si intrecciavano e formavano pieghe e cavità, dove il pettirosso avrebbe facilmente trovato riparo.
“Per favore, Signora Quercia, mi potresti aiutare?”
“Che cos’è che vuoi?” chiese l’albero.
E il piccolo rispose: “Quei ragazzacci mi hanno spezzato l’ala e ho bisogno di un rifugio. Mi potresti ospitare in uno dei tuoi rami, almeno finché la mia ala sarà guarita?”
“Sta’ alla larga – disse la quercia – Non ho tempo per voi, piccole pesti. Prendete le mie ghiande e mangiate tutti i miei semi, sedete tra le mie foglie e fischiate tutto il santo giorno. Siete proprio una scocciatura. Sta’ alla larga, ti dico”.
Il povero piccolo pettirosso se ne andò saltellando e zoppicando come poté nella foresta coperta di neve, finché giunse davanti ad un larice: “Per favore, Signor Larice, aiutami, ti prego!”
“Cosa vuoi?” “Ho bisogno di un riparo per l’inverno” disse il pettirosso, e ripeté la sua storia: “Dei ragazzi mi hanno spezzato l’ala e non posso volare, mi puoi ospitare tra i tuoi rami per un po’ finchè la mia ala sarà guarita?”
“Sta’ alla larga! Non vi sopporto, voi piccoli uccelli. Vi accomodate tra le mie fronde e iniziate a cinguettare, poi prendete, fate cadere i miei aghi, saltellate tra i miei rami, disturbando le mie pigne e mangiando i miei semi. Sta’ alla larga, ti dico”.
Ed eccolo ancora, povero e stanco, il nostro pettirosso che se ne va per la foresta con la piccola ala rotta.
Zoppica e zoppica, arriva davanti ad un maestoso frassino: “Per favore, Signor Frassino, aiutami ti prego. Sono solo un povero pettirosso con un’ala rotta che chiede un rifugio per l’inverno”
“Sta’ alla larga – rispose il frassino – non ho tempo per voi, piccole creature cinguettanti. Vi conosco bene: mangiate i miei semi, sedete e cinguettate, cantate tutta l’estate, e quando l’inverno arriva non sapete fare nulla, se non andare a chiedere riparo a noi alberi. Sta’ alla larga da me!”.
Il povero piccolo pettirosso saltellò, zoppicò, trascinò ancora la sua ala, nella foresta, mentre cadeva fitta la neve. Nella sua mente aveva capito che nessun albero gli avrebbe mai dato riparo.
Alla fine arrivò davanti ad un altro albero, era un piccolo abete. E l’abete ha dei rami molto fitti, che tengono caldo così il pettirosso saltò sul piccolo albero e disse: “Per favore, piccolo Abete, mi vuoi aiutare?”
“Qual è il problema, uccellino?” chiese l’alberello.
E il pettirosso rispose: “Quei ragazzacci mi hanno tirato le pietre e ora ho un’ala spezzata. Ho chiesto a tutti gli alberi che sono nella foresta di darmi un riparo, ma nessuno ha voluto darmi alcun aiuto”.
“È vero quello che dici?” chiese l’abete. “Sì, è vero – rispose il pettirosso – mi hanno ordinato di stare alla larga”.
“Vieni, vieni qui – disse l’abete – questo non è il modo di trattare un piccolo uccello. Gli uccellini andrebbero trattati con maggiore rispetto. Ho molti rami dove potrai stare tranquillo e al caldo, e ci sono molti semi che non raggiungeranno il terreno e non potranno dar frutto.
Salta qui, dentro i miei rami, piccolo pettirosso, stringiti al mio cuore e troverai calore. Ti cullerò nel vento e ti canterò delle belle canzoni”.
L’abete abbassò uno dei suoi rami e il pettirosso vi saltò sopra, infilandosi subito al centro, nel cuore dell’albero, protetto dai fitti rami. Si stava bene, c’era un dolce tepore, e c’erano tanti semi tutto intorno che erano caduti dalla cima dell’albero.
Ma il pettirosso non sapeva che una fata dei boschi si era fermata a riposare sullo stesso albero e aveva sentito la conversazione tra il pettirosso e l’abete. Così la fata pensò: “Quei perfidi alberi”. Aveva sentito il pettirosso che raccontava la storia di come era stato cacciato via. “Quegli alberi si meritano una bella lezione. Ma non tu, mio piccolo albero”.
Così la fata vola verso il cuore della foresta ed incontra il Vento del Nord. Era uno dei suoi migliori amici, come lo erano anche il Vento dell’Est e il Vento dell’Ovest e il Vento del Sud. La fata racconta al Vento del Nord la stessa storia che vi ho raccontato io. E il Vento del Nord scuote la testa, dicendo: “Terribile, terribile, terribile! Non si può credere che degli alberi abbiano fatto questo ad un piccolo pettirosso. Si meritano una bella lezione. D’ora in poi, d’inverno, quando il mio soffio arriva nella foresta, quegli alberi patiranno il freddo. Farò volare via ogni foglia e ogni fragile ramoscello la prossima volta che passerò nella foresta. E avranno tutti bisogno di un riparo. Ma lascerò intatto il giovane abete. I suoi rami saranno sempre verdi durante tutto l’anno, sarà maestoso e sarà l’orgoglio della foresta. Tutti quanti lo ammireranno”.

Così arrivò l’inverno e il Vento del Nord incominciò a soffiare tra gli alberi della foresta, e, come aveva detto, fece volare via ogni singola foglia dai rami del Frassino, della Quercia, del Faggio e ogni ago del Larice, lasciandoli completamente spogli. Ma il piccolo albero, l’Abete, non venne neanche sfiorato dal gelido soffio del Vento del Nord, che vi passò accanto dolcemente, trattenendo il respiro. E per tutto l’anno l’abete conservò il suo bel verde. Il pettirosso vi dimorò per tutto l’inverno. La sua ala guarì. Viveva grazie ai semi che cadevano dall’albero. Poi in primavera volò via per cercare una compagna, fare un nido e avere dei piccoli. Ma sempre, durante l’inverno, ritornava al suo piccolo albero e si appollaiava su in cima. Prima di entrare tra i suoi rami per ripararsi durante l’inverno, stava lì, in cima all’albero, a cantare e cinguettare finché ne aveva voglia. Perché il piccolo abete amava ascoltare il pettirosso che cantava le sue belle canzoni. Ecco perché anche nei nostri giorni, quando le persone festeggiano il Natale nelle loro case, amano sempre avere un piccolo pettirosso sul loro albero.
E questa era la storia dell’Albero di Natale e del Pettirosso.

Possa tu sempre conservare un cuore sempreverde!
May you always keep an evergreen heart!’
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copertina del libriccino bilingue pubblicato da Archivi del Sud Edizioni (2016, grafica Marica Busia)
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    Coltivo l'arte della narrazione orale o 'storytelling' come disciplina artistica e mezzo per comunicare con mondi diversi.
    Il blog nasce dal desiderio di trasmettere ciò che ho imparato (e che continuo ad imparare ogni giorno) su quest'arte.

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