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La ricerca delle storie (1): il restauro

26/11/2020

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Quando si va alla ricerca di storie antiche, di racconti popolari tramandati attraverso le generazioni, spesso si trovano frammenti sparsi o versioni incomplete. Allora la ricerca procede come per l'archeologo nello scavo e nel successivo restauro.
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Museo Archeologico di Alghero (foto Enedina Sanna)
Primo rilevamento: nella vostra indagine (che siano fonti orali o scritte) avete individuato la traccia di una "Prezzemolina". La riconoscete subito, anche se la madre non va a mangiare il prezzemolo, ma un altro vegetale. E anche se, rispetto alla fiaba più nota, cambia il custode dell'orto (orco/orca/diavolo).
Tuttavia, nel dipanarsi del racconto, la vostra fonte manca di alcuni passaggi (o "motivi") rispetto alla versione più nota. Non è chiaro, ad esempio, con quale stratagemma la ragazza riesce a fuggire dalla torre. 
Seconda fase, "il restauro": la comparazione con altre varianti ci consentirà di colmare il gap, il vuoto di informazione dovuto ad una trasmissione incompleta o frammentaria. 
In questo caso siamo autorizzati a completare la versione ritrovata con il "motivo" preso da un'altra variante. 
Ci sono particolari che sono essenziali per la comprensione della storia, ma che qualche informatore può aver perso lungo la strada della trasmissione orale.
Il ricercatore/storyteller fa in modo che le storie ritornino complete, ma evita il rischio di manipolazioni non autorizzate dalla tradizione. Come? Attraverso una conoscenza approfondita dei materiali e delle fonti. Esattamente come un archeologo o un restauratore. Le stesse regole che valgono per i beni culturali materiali, valgono anche per questi beni immateriali o "volatili", come li definiva Alberto Mario CIrese.
Terzo  passaggio: in occasione della narrazione della storia che abbiamo così restaurato, sarà significativo raccontare anche il percorso della ricerca, se il contesto lo consente. Nel caso di un uditorio composto da adulti, da "addetti ai lavori" e da persone in genere interessate all'arte del narrare, è bello completare sempre con le fonti  e con il processo che ci ha portato a definire questa versione.

​L'esperienza della ricostruzione dei racconti può essere anche un'ottima attività creativa nella scuola, dalla primaria fino alle superiori. Insegna la ricerca delle fonti, la comparazione, la riscrittura con le parti mancanti. Che può portare a tante versioni diverse, e tutte ugualmente "vere". Si può lavorare in gruppo e ascoltarsi a vicenda, senza contestare, senza imporre la propria opinione, semplicemente considerare le diverse possibilità offerte all'interno di una medesima struttura. 

Ancora un altro contesto in cui è molto proficuo e avvincente il lavoro di ricostruzione è quello con gli anziani. Spesso è proprio qui che incontriamo le storie incomplete, i frammenti, addirittura è rimasto solo il titolo, "ma la storia non me la ricordo proprio, ricordo solo che mi faceva tanta paura". E' naturale che la completezza del testo si sia smarrita: non avendo più avuto occasione di raccontare, la storia si è smembrata e poi inevitabilmente dissolta tra i meandri della memoria.
E' del tutto naturale che una persona anziana sollecitata a raccontare "a freddo" vi risponda che non ricorda niente. Sarà necessario un esercizio di "riscaldamento" per far riemergere pian piano i ricordi. Parliamo di altre cose, poi ritorniamo ad interrogare sulla storia che ci interessa. Ma con pazienza e gentilezza. Alla fine è possibile che la storia completa non riemerga. Starà a noi, ricercatori/storyteller, raccontarne una versione completa alla persona anziana. Sarà insomma uno scambio dialogico, sarà come un raccontare a due voci. Al vecchio non resterà la sensazione negativa di non essere stato capace di ricordare, e per tutt'e due resterà il ricordo di una bellissima conversazione, di un passaggio reciproco di memoria e tenerezza.  

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L'arte del narrare l'ho imparata nei caffè di Montevideo

20/11/2020

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Non ho avuto la fortuna di conoscere Sheherazade, non ho appreso l'arte del narrare nei palazzi di Baghdad, la mia università furono i vecchi caffè di Montevideo, i narratori anonimi mi insegnarono ciò che so.
Nella scarsa educazione formale che ebbi (non superai la prima liceo), fui un pessimo studente di storia. E nei caffè scoprii che il passato era presente e che la memoria poteva essere raccontata in una maniera tale che smetteva di essere “ieri” per diventare "ora".
Non ricordo il nome né il viso dei miei primi "professori"… che si riuniscono ancora nei pochi caffè che restano, per evocare i tempi in cui si aveva il tempo di perdere tempo.
Uno di questi raccontò una storia, quando io ero molto giovane.
Era una storia del 1904. La sua età rivelava che non poteva essere un testimone dei fatti, però raccontava come se ci fosse stato.
Fu la mia prima lezione sull'arte del narrare, che è una bugia che dice la verità.
E ascoltando capii che si poteva raccontare in un modo tale che ciò che era accaduto nel passato ritornava in vita quando uno lo racconta. E capii come si possa sentire quel remoto tuono degli zoccoli dei cavalli, come si possano vedere le impronte nella sabbia, anche se il pavimento è di mattonelle o di legno.
Quell’uomo, per dire la verità, mentiva, dicendo che le aveva percorse, le praterie insanguinate dopo una battaglia, e aveva visto i morti.
E uno dei morti era un angelo, un ragazzo bellissimo, con la fascia bianca, rossa di sangue. E la fascia diceva "Per la Patria e per Lei" e la pallottola era entrata proprio attraverso la parola "Lei".
 
Un secondo racconto sui miei primi passi sull'arte del narrare. 
Il paese boliviano Z. viveva della miniera e la miniera divorava i suoi figli, infilati nelle voragini, nelle viscere della montagna … in pochi anni perdevano i polmoni e la vita.
Avevo passato del tempo lì con loro e avevo degli amici. Era arrivato il momento della partenza. Bevemmo tutta la notte, i minatori ed io, cantando la tristezza, raccontando barzellette delle più cattive.
Quando stava per fare giorno, quando mancava poco al fischio della sirena che li avrebbe richiamati al lavoro, i miei amici rimasero in silenzio tutti insieme e uno di loro mi chiese: "E ora dicci com'è il mare"
Io rimasi in silenzio. Però insistevano: "Raccontaci come è il mare". 
Nessuno di loro l’avrebbe mai visto, tutti sarebbero morti presto. E io non avevo altra scelta che portare loro il mare, il mare che era molto lontano, e trovare le parole che fossero capaci di bagnarli. 


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Discesa agli Inferi e ritorno ... forse

9/11/2020

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Tomba dei Giganti, età del Bronzo, Borore, Sardegna (foto Enedina Sanna)
Divinità ed eroi affrontano la discesa agli Inferi, ma ritrovano sempre la strada per ritornare.
Nelle antiche storie tramandate oralmente dalla notte dei tempi si racconta anche dei comuni mortali che finiscono all'Inferno e che, per niente contenti, vorrebbero ritornare indietro, ritenendo la punizione ingiusta. 
Ho trovato traccia delle varianti di questo mito in Sardegna, nei racconti del Buddha e perfino nel romanzo "I fratelli Karamazov di Dostoevskij. 
Perciò se avete tempo, seguitemi in questa appassionante ricerca. 
Partirò con il raccontarvi la leggenda buddhista: la riporto a memoria, così come la ricordo, dopo averla ascoltata tanti anni fa nella magnifica lettura di Dominique Blanc:
Buddha e la corda d'argento
"Un giorno, in un chiaro mattino, il Buddha passeggiava sulle rive del lago Fiore di Loto, assorto nella sua meditazione. Quando, sporgendosi sull'acqua e guardando nelle profondità del Naraka, la sua attenzione fu attirata da un uomo che vi si dibatteva furiosamente e sembrava chiedere aiuto. Subito lo riconobbe: era Kantuka, lo aveva incontrato in vita. Lo conosceva bene, era un ladro e un miserabile assassino.
Ma il Buddha è l'infinita compassione. Ricordò che una volta Kantuka aveva fatto un gesto di bontà, allontanando dal suo sandalo un ragno, anziché schiacciarlo. 
Così, in ricordo di quel gesto, il Buddha decise di dare all'uomo una possibilità. prese un filo di ragnatela e lo calò nell'acqua. Nella discesa il filo di ragno si trasformò in corda d'argento e arrivò davanti a Kantuka, il quale subito capì che gli era stata concessa la possibilità di salvarsi.
Immediatamente afferrò la corda e, con tutta la forza di cui era capace, vi si avvinghiò mani e piedi per intraprendere la salita. Ma come lui, anche tutte le altre creature condannate al Naraka naturalmente ebbero la stessa idea e tutte vollero seguirlo sulla corda d'argento. Vedendo ciò e temendo che l'esile corda si spezzasse, Kantuka fece per estrarre un pugnale che conservava ancora con sé per recidere la corda sotto di lui. 
Ma ebbe solo il tempo di pensare quel gesto che la corda si spezzò sopra di lui e ricadde per sempre nel Narak
a".

Nella versione sarda, la corda d'argento è un più umile stelo di cipolla e la protagonista è 
La mamma di San Pietro 
"Quando Gesù era nel mondo e andava in giro con i suoi apostoli, la mamma di San Pietro non lo poteva sopportare. Era una donna davvero cattiva, si dice che fosse una fattucchiera (una majarza in sardo), e cercò più volte di colpire Gesù con le sue magie, ma naturalmente senza successo.
Insomma, alla fine sappiamo come andarono le cose, San Pietro andò in Paradiso con Gesù e sua madre invece nell'Inferno! Questo San Pietro non lo poteva accettare e pregava sempre Gesù di liberarla. "Almeno per qualche focaccia di cipolla (cotzula de chibudda in sardo) che ci ha cucinato". Gesù allora disse: Va bene, ecco uno stelo di cipolla (unu serione de chibudda), fallo scendere nell'Inferno e vedi se riesce a venire fuori con questo. 
San Pietro subito, tutto contento, calò lo stelo di cipolla e disse alla madre di aggrapparvisi in modo da tirarla su. 
Lei non se lo fece ripetere due volte, e subito con grandi sbuffi e oja qui e oja là iniziò a salire.
Ma a quel punto succede che anche tutte le altre anime vogliono aggrapparsi allo stelo e si affannano dietro alla mamma di San Pietro. Vedendo ciò e temendo che l'esile stelo non potesse reggere il peso, la donna inizia a scalciare e inveire contro le altre anime. Ma facendo ciò lo stelo si spezza e la donna ricade per sempre nell'Inferno.
San Pietro, sconsolato, riferisce l'accaduto a Gesù, il quale per consolarlo gli dice che almeno sarà menzionata nella messa. Donna Bisodia o Donna Peronia sono i nomi con cui è conosciuta la madre di San Pietro nella tradizione popolare, derivati dal ... latino latinorum "dona nobis hodie" e "per omnia (secula seculorum)". 


Viene citata anche da Antonio Gramsci in una delle sue Lettere dal Carcere alla sorella Teresina: "...le beghine ripetono il latino delle preghiere contenute nella Filotea: ti ricordi che zia Grazia credeva fosse esistita una «donna Bisodia» molto pia, tanto che il suo nome veniva sempre ripetuto nel Pater Noster? Era il «dona nobis hodie» che lei, come molte altre, leggeva «donna Bisodia» e impersonava in una dama del tempo passato, quando tutti andavano in Chiesa e c'era ancora un po' di religione in questo mondo. - Si potrebbe scrivere una novella su questa «donna Bisodia» immaginaria che era portata a modello ..." lettera del 16 novembre 1931.

La cipollina è una racconto simile alla versione sarda (ma senza riferimenti ai personaggi del Vangelo), che ritroviamo in un dialogo tra Grušenka e Aleksej ne "I fratelli Karamazov. Non lo riporto qui per non ripetere la storia, ma anche per invitarvi alla ricerca nel grande capolavoro di Dostoevskij!
 
E' una storia popolare molto diffusa in Sardegna (che qui ho riferito in una versione molto breve), ma molto conosciuta in tutta Europa, catalogata al n. 804 dall'indice internazionale Aarne Thompson. 
La comparazione tra varianti è un lavoro che ogni storyteller professionista compie per una conoscenza approfondita della storia, soprattutto quando la tradizione ci perviene in modo frammentario. Allora arrivano in aiuto storie da altre culture e da altri storytellers a completare le parti mancanti. Si procede ad un vero e proprio lavoro di raffronto e ricostruzione, così come fa un archeologo con i frammenti dei vasi. 


Bibliografia e consigli per l'ascolto:
Dominique Blanc legge "Les plus beaux Contes Zen" a cura di Henry Brunel, ed. Fremeaux
Fedor Dostoevskij "I fratelli Karamazov", varie edizioni, ora anche audiolibro (consiglio la lettura di Claudio Carini)

Per chi capisce il sardo: trasmissione radiofonica "Custu est su contu" puntata n. 16 - Rai Radio Sardegna - condotta da me in compagnia del grande maestro Franco Enna, autore di "Contos de foghile". 
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Grazie per avermi letto fin qui, vi invito ad inviarmi i vostri commenti, riflessioni, approfondimenti qui oppure alla mail enedin@gmail.com 
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Nell'Internazionale dei Cuenta Cuentos

5/11/2020

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Sono molto felice di essere parte della RED Internacional de Cuentacuentos, rete internazionale di storytellers, 1300 narratori e narratrici distribuiti in 62 paesi. 
E' sempre fondamentale poter conoscersi e confrontarsi tra colleghi, e ancor più in questo momento in cui le attività artistiche subiscono un nuovo fermo a causa della pandemia.
Il sito del network offre anche moltissime risorse, tra storie, materiali, bibliografia, video, festival, blog, ed è fantastico poter vedere quanto sia viva ed effervescente la scena contemporanea della narrazione orale.

Mentre scorrevo i contenuti del sito, ho trovato questa bellissima testimonianza dello scrittore cinese Mo Yan, tratta dal suo discorso in occasione della consegna del premio Nobel:

Una volta un narratore è venuto al mercato e io sono sgattaiolato via per ascoltarlo. Mia madre non era contenta di me per aver trascurato le mie faccende. Ma quella notte, mentre cuciva vestiti imbottiti per noi sotto la debole luce di una lampada a cherosene, non potei trattenermi dal raccontare le storie che avevo sentito quel giorno. Dapprima ascoltò spazientita, poiché ai suoi occhi i narratori professionisti erano uomini dalla parlantina facile e con una professione incerta. Non usciva mai niente di buono dalle loro bocche. Ma lentamente si lasciò trascinare dal racconto delle storie e da quel giorno in poi non mi diede più lavori domestici il giorno di mercato, un permesso tacito di andare al mercato e ascoltare nuove storie. Come ricompensa per la gentilezza di mia madre e  per dimostrare la mia memoria, le raccontavo le storie con vividi dettagli. Non ci volle molto per trovare insoddisfacente raccontare le storie di qualcun altro, quindi ho iniziato ad abbellire la mia narrazione. Dicevo cose che sapevo sarebbero piaciute alla mamma, persino cambiavo il finale di tanto in tanto. E lei non era l'unico membro del mio pubblico, che in seguito incluse le mie sorelle maggiori, le mie zie, persino mia nonna materna. A volte, dopo che mia madre aveva ascoltato una delle mie storie, mi chiedeva con voce piena di premura, quasi a se stessa: "Come sarai da grande, figliolo? Non è che ti guadagnerai da vivere con le chiacchiere?" . 
Mo Yan, da condizioni umilissime, impara a raccontare storie, poi diventa scrittore, e nel 2012 riceve il premio Nobel per la Letteratura.  Che storia! 

Grazie! Muchas Gracias! a CuentaCuentos e alla sua rete di Storytellers! 

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    Coltivo l'arte della narrazione orale o 'storytelling' come disciplina artistica e mezzo per comunicare con mondi diversi.
    Il blog nasce dal desiderio di trasmettere ciò che ho imparato (e che continuo ad imparare ogni giorno) su quest'arte.

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