E' un vero onore per me la pubblicazione di un'intervista su Scarp de' tenis, il più diffuso "street magazine" in Italia, grazie alla scrittrice Daniela Palumbo che ha voluto rivolgermi le sue domande sul libro "Piccolo Manuale di Storytelling" e più in generale sull'arte della narrazione orale. Qui di seguito la parte iniziale dell'intervista, ma vi invito ad acquistare la pubblicazione, disponibile sia cartacea che pdf a questo link , i cui proventi vanno ad attività di sostegno per persone senza dimora. Questa è la copertina del numero 258 - marzo 2022 - disegnata da Mauro Biani Scarp de’ tenis è un giornale, ma anche un progetto sociale. Protagonisti del quale sono le persone senza dimora, e altre persone in situazione di disagio personale o che soffrono forme di esclusione sociale. Il giornale intende dare loro un’occupazione e integrare il loro reddito. Ma intende in primo luogo accompagnarli nella riconquista dell’autostima (che consente di investire sul proprio futuro) e di un’effettiva dignità da cittadini (aiutandoli anzitutto a ottenere la residenza anagrafica, condizione per fruire di ogni altro diritto di cittadinanza e dei servizi sociali territoriali). E poi li sostiene, nel cammino per ricostruirsi una casa, un lavoro, un buono stato di salute, una capacità di risparmio, relazioni con la famiglia e il territorio. A pag. 32 e seguenti, la mia intervista e poi una ballata inedita dello scrittore Salvatore Niffoi. La rivista Scarp de tenis può essere ordinata qui https://www.social-shop.it/
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![]() Tra i maestri che mi hanno ispirato, pur non avendolo mai incontrato, c'è il narratore francese Michel Hindenoch. Artista poliedrico, musicista e troubadour, capace di trasmettere una potente carica di umanità, è l'autore di un'opera fondamentale, purtroppo poco nota in Italia, non essendo finora stata tradotta. Conter, un art? (edito da La Lopioute nel 1997, ora disponibile presso www.lejardindesmots.fr)
Michel Hindenoch "Le voyage de Solki" extrait de Fruits Rouges
Lo ringrazio di cuore per aver autorizzato la pubblicazione in questo blog di una mia traduzione, un brano del libro in cui l'Autore elenca le qualità essenziali per chi vuol raccontare:
Un narratore può utilizzare ogni sorta di talento, ma ci sono delle qualità di cui difficilmente si può fare a meno. Queste qualità sono cinque: una voce, una lingua, un corpo, un cuore, un giardino Una voce: forte e generosa allo stesso tempo, per pretendere di farsi pubblica, di rivolgersi a molti. Una voce, cioè, che sia consapevole del territorio in cui si muove. Una voce flessibile, capace di tradire la più piccola emozione, il più trascurabile stato d'animo, una voce espressiva, sincera, giusta, aperta, vicina alla confessione. Una lingua: svelta, pronta a caratterizzare in qualche parola una situazione, un profilo, un paesaggio. Fatta di parole semplici e soprattutto concrete (è solo accontentandosi di dire l'apparenza delle cose che le si fa apparire). Una lingua comune, che sia compresa dal maggior numero di persone. Una lingua che cammina, salta, corre, si stupisce davanti alle cose. Una lingua orale: che ha l'umiltà di non arrestare il corso degli eventi per descriverli, ma che si accontenta del tempo di cui dispone. Una lingua viva, in continua nascita. Una lingua, infine, forte, libera, feconda, pronta a mettere al mondo nuove creature. Un corpo. Perché la presenza è inevitabile. Ma un corpo che avrà la funzione non di agire, come nell'attore, quanto di essere "in presenza" delle cose. E naturalmente delle cose virtuali, immaginate, ricordate, piuttosto che delle cose reali che ci portano solo a distrarci da questo sogno corporale. Un corpo che "vede", "sente", "gusta", "respira", "tocca" le cose. E la parte del nostro corpo che si mette maggiormente in gioco in questa attività è la pelle, tutta la superficie della nostra pelle. Con le sue zone specializzate che sono: l'orecchio, l'occhio, il palmo delle mani, l'estremità delle dita, la pianta dei piedi, il naso, il palato, fino all'interno del corpo, dei polmoni, della pancia. E' proprio soltanto con la pelle che siamo in presenza delle cose. E' questa parte del corpo che dovremmo coltivare. Un cuore. Grande. Grande il più possibile. Luogo dei sentimenti, ma prima di tutto sede di due virtù preziose necessarie ad ogni narratore: il coraggio, per osare esporsi in questo luogo. Il coraggio di mettersi così allo scoperto davanti agli altri, talmente più numerosi dell'io. Il coraggio di dire ciò che si vorrebbe mantenere segreto. Il coraggio anche di tacere, di lasciare talvolta parlare il silenzio al nostro posto. Il coraggio di partire a rischio di perdersi in una storia che non si capisce mai del tutto. L'altra virtù necessaria è la generosità. Ricevere l'uditorio piuttosto che attendere di essere ricevuto da esso. Invitare di buon cuore chi non si conosce, amarlo prima ancora che lui ci ami. Affidarsi agli altri. Lasciarli liberi di aderire o di rifiutarsi. Affidarsi alla storia, quella tana del lupo da cui si spera di uscire sani e salvi, e liberi soprattutto! La fiducia che permette di andare fino alla fine delle cose, alla fine del mondo qualsiasi cosa accada. La fiducia che permette di credere. Credere alle storie che si raccontano, credere prima di tutto noi che si tratta di storie vere, prima di sperare di farle credere ad altri. Nel caso peggiore, credere senza gli altri, essere l'ultimo dei Mohicani. Ma il cuore è anche la sede della nostra identità profonda. E' il centro di noi stessi. Il luogo da cui provengono tutti i nostri desideri, opinioni, amori, talenti. Perché non si tratta di delegare il nostro compito ad altri, fosse anche un personaggio-narratore che potrebbe prendere il rischio al nostro posto, o che potrebbe cavarsela meglio di noi. E' il luogo della propria realizzazione. Dove si sposano le ombre e le luci dell'io. Il luogo unico dell'unico narratore al mondo che tutti attendono. Il solo capace di estrarre dal suo dire una parola, cioè un albero di luce che gli appartenga dalla foglia più alta fino alle radici più profonde. Il solo capace di mettere al mondo degli alberi interi. Rimane, infine, da dare a questo narratore un posto nel mondo, un reame, un territorio: un giardino. In questo giardino crescono sogni, desideri, piaceri, sofferenze, idee, ricordi. E' in questo giardino che si trova il nostro repertorio. Non vi crescerà qualsiasi storia: solo il seme che si sente a suo agio germoglierà. Il nostro repertorio è proprio una creazione personale. Questo giardino non può ricevere i sogni e i desideri che non ci appartengono, non è un giardino pubblico. E' fatto dei nostri segreti. Le erbacce che vi entrano sono le convenzioni, le convenienze, i clichés, i desideri degli altri, e i cadaveri delle nostre idee defunte. Bisogna estirparle. Con pazienza e senza stancarsi. Qualche volta un'erbaccia resiste e si ostina a rimanere nel nostro giardino. E noi finiamo per adottarla. Allora essa diventerà una nuova pianta, e va bene così, ma non ricevera il nostro riconoscimento se non al prezzo di una lotta lunga e valorosa con il giardiniere. Ecco perché i più grandi narratori non hanno mai potuto portare con sé più di una cinquantina di storie per volta. Al massimo un giorno e una notte di parola viva. ... Ecco dunque i cinque luoghi da cui il narratore attinge la sua presenza. E questa presenza dovrà tendere verso la qualità suprema della pelle: la trasparenza. Se non si vuole fare da schermo e nascondere la storia, bisogna che la più piccola goffaggine come la più piccola abilità non facciano di lui un narratore opaco.La trasparenza è quella leggerezza che ci può dare soltanto il dono totale di sé. Più si diventa abili e più bisogna bruciare. Bruciare tutto, senza reticenze. Non sperare altro che scomparire. Non sperare di conservare o conquistare qualcosa. Dimenticarsi. Essere una cavalcatura per la propria storia e non cavalcarla. I racconti sono delle creature avide di potersi incarnare. Mi sono trovato a dire che sono fatti per essere mangiati. E' vero! Ma da quelli che ascoltano. E prima di questo bisogna che abbiano, i racconti, divorato un narratore. ... del raccontare con la voceNato per rimettere in ordine le parole (che cos'è lo "storytelling" che va tanto ti moda?), si trasforma pagina dopo pagina in uno strumento per ritrovare prima di tutto il piacere di ascoltare storie raccontate con la sola voce, senza tecnologia o effetti speciali, per poi esercitarsi nella ricerca e nella narrazione. Il libro è disponibile in forma ebook, distribuito da Book Republic su tutte le piattaforme online, mentre la versione cartacea può essere richiesta direttamente a archividelsud@gmail.com L'immagine di copertina si ispira ad una fotografia che ho scattato nel 2018 durante il Festival dei narratori tunisini "fdawi" a Sousse. In questa immagine si vede un ragazzo che ripete la sua storia all'insegnante prima di esibirsi davanti al pubblico. Il festival aveva infatti organizzato quell'anno un concorso per le scuole, per diffondere e mantenere viva anche tra i più giovani l'arte della narrazione orale. Ed è ciò che mi propongo anche io con questo libro. Nella quarta di copertina, invece, mi trovo a fare una delle cose che amo di più: la ricerca sul campo, ascoltare storie di vita, saggezza e pratiche antiche. In questo caso la persona intervistata è un pescatore e costruttore di nasse. (Le immagini sono realizzate da Maria Francesca Melara, la grafica di copertina è di Mohammed Hassona, l'impaginazione di Sara Pilloni) Questo è l'indice del volume: Introduzione Per chi Perché? Quanto è antica l’arte del raccontare Ascoltare Alla ricerca di storie L’indagine sul campo La ricerca delle varianti Tipi e motivi: la classificazione internazionale Fonti orali indirette: gli archivi sonori Le fonti scritte Comparare le varianti Il rischio di una storia unica Il restauro Ciò che si perde L’improvvisazione Contesti e occasioni del narrare Il repertorio Storie di paura A proposito del significato delle fiabe Diritti da rispettare Imparare a raccontare Mandare a memoria Tecniche per la prima memorizzazione Le prove La voce Il timbro Il respiro Prosodia e paralinguaggio Comunicazione interattiva La gestualità Il linguaggio verbale Tecniche della performance orale Passiamo alla pratica: Raccontiamo davanti ad un uditorio! Adeguare il repertorio al contesto Prima della performance La performance: inizio-narrazione-chiusura Dopo la performance Costruire gruppi e comunità di storytellers Conclusioni Sezione Approfondimenti Bibliografia Sitografia Il "Piccolo Manuale di Storytelling o del Raccontare con la Voce" è uno strumento per capire e praticare l'arte della narrazione orale. Abbiamo bisogno di narratori e narratrici di questo tempo, per ricucire i fili che ci legano alle generazioni passate e per tessere i legami tra le persone nelle comunità di oggi. Siamo tutte e tutti storytellers, non occorre aspettare di avere le rughe. Ma c’è un metodo e una disciplina. Raccontare è il modo più sicuro, duraturo ed ecologico di lasciare la nostra buona impronta sulla terra.
Fede popolare e bellezza nel ritmo culturale che accompagna il ciclo naturale delle stagioniOgni anno mia madre, appena dopo l'inizio della Quaresima, mette grano e lenticchie nei piatti antichi, li irrora d'acqua e li sistema sotto le corbule (cesti intrecciati a mano in steli di asfodelo). I grani tenuti all'ombra e costantemente inumiditi germogliano, ma in un modo particolare: il loro stelo si spinge verso l'alto in cerca della luce, mantenendo piccole foglie pallide a causa del buio, che impedisce la sintesi della clorofilla. Tutta la famiglia segue la crescita, le nipoti vanno a controllare sollevando un poco la corbula e si meravigliano, le figlie chiedono come va la crescita, se per Pasqua saranno pronti. Perché poi, questo rito, è tutto femminile. All'inizio della settimana santa, i germogli sono alti circa venti centimetri, vengono adornati con nastri e fiori e portati al "sepolcro", la cappella allestita per i giorni della Passione di Gesù. In Sardegna il piatto di germogli così adornato lo chiamiamo "su nènniri" o "su lavoreddu". Si possono rintracciare uguali tradizioni in area mediterranea e balcanica, forse legate insieme dalla chiesa bizantina. Ma è certo che il rituale affonda radici in età precristiana, fino alla Grecia antica e ancora più indietro, alle prime civiltà agricole. Il controllo dei semi e della crescita, in questo caso costretta all'assenza di luce, tutto sotto la regia di mani femminili, ci porta verso gli albori dell'agricoltura. Tratti pagani sopravvivono anche nei rituali cristiani praticati in Sardegna fino a poco tempo fa: si racconta che su nènniri si portava in campagna e si spezzava sul terreno, come auspicio per il buon raccolto. Riguardo questa tradizione, si rammentano i "giardini di Adone", in onore al dio morto giovane. Ma vale anche ciò che rappresenta per noi, nel nostro presente, questo rito e il suo ritmo. Tra il "memento mori" del mercoledì delle ceneri e la rinascita della Pasqua, c'è il ripetersi lento e preciso di gesti, c'è l'attesa paziente, la cura e il controllo per la buona riuscita, c'è infine, con l'arrivo della prima luna piena di primavera, l'abbellimento dei fiori per il sepolcro del Dio che ogni anno muore e rinasce. C'è dentro tutto il ritmo di una cultura. Il poeta Pierluigi Cappello racconta in Questa libertà il suo incontro con Silvio, il costruttore di gerle: "Io, piccolo com'ero, non mi chiedevo affatto da dove venisse quella sequenza di gesti naturalmente sorvegliati, mi accontentavo di seguirne la precisione e la reticenza ... Me lo son chiesto più tardi, da uomo fatto: qualcuno avrà insegnato a Silvio, magari quand'era bambino, perché ai suoi tempi si cominciava a lavorare presto, gli avrà insegnato a intrecciare, a preparare le festuche, a cercare i rami di salice giusti lungo il fiume e anche lui avrà dovuto ripetere, ostinato e devoto, cercando di impossessarsi di un ritmo, finché quel ritmo si sarà impossessato di lui, delle sue mani, delle sue dita. Così, quello che vedevo non era un vecchietto ... ma una cultura al lavoro, risalita dai tempi lungo una catena viva di uomini che l'avevano condotta fin lì, e quelle che agivano non erano mani, ma il ritmo stesso di quella cultura". (P. Cappello, Questa libertà, Bur Rizzoli, 2016)
Pro sa Die Internatzionale de sa Limba Mama 2021, faeddamos de contos, contascias e paristorias20/2/2021 Su 21 de Frealzu est sa Die de sa Limba Mama in totu su mundu pro initziativa de s'UNESCO. Mirade a su situ ufitziale: |
AuthorColtivo l'arte della narrazione orale o 'storytelling' come disciplina artistica e mezzo per comunicare con mondi diversi. Archives
March 2022
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